Remote Working errori e soluzioni

Come rimuovere il bloatware da Windows 10

Molte delle applicazioni che Microsoft ci propone sono a tutti gli effetti Bloatware. Windows 10 per fortuna può essere liberato, con un minimo di impegno.

Ammettiamolo: davanti a un’installazione fresca di Windows 10 tutti ci siamo chiesti cosa ci facciano alcuni programmi e funzionalità, come Windows Phone in un setup dedicato al gioco o, peggio strumenti come Xbox o la collezione di solitari in una macchina dedicata al lavoro. Il bloatware di Windows 10 è abbastanza numeroso, anche se per la verità non particolarmente esoso in termini di spazio. Tuttavia, se vogliamo un’installazione il più pulita possibile, o magari stiamo lavorando su un “ultraleggero” con un disco da poche decine di gigabyte, sicuramente è un buon modo per recuperare risorse.

Sostanzialmente, possiamo operare in tre modi:

  • attraverso le impostazioni di Windows 10, che ci permettono di eliminare i programmi meno tignosi, tutto sommato senza rischi per il nostro computer;
  • Usando Powershell, il terminale avanzato di Windows 10, con tutte le attenzioni e le cautele del caso;
  • Attraverso uno strumento di terze parti, anche in questo caso facendo molta attenzione a dove mettiamo le mani.

Come rimuovere il bloatware da Windows 10: la via più facile e rapida

Iniziamo aprendo le impostazioni di Windows 10 con la scorciatoia Windows + I e facciamo clic su Sistema. Dalla colonna di sinistra facciamo clic su Archiviazione e , sotto alla voce disco locale, facciamo clic su app e funzionalità.

A questo punto ci si aprirà la finestra dove potremo scandagliare tutti i programmi installati lecitamente. Trovato il programma che vogliamo eliminare facciamo clic sulla voce disinstalla per risolvere il problema.

Tutto quello che non troviamo qui andrà eliminato sfruttando le potenzialità di PowerShell.

Come usare PowerShell per nascondere o rimuovere il bloatware di Windows 10.

PowerShell è un terminale di controllo presente all’interno di Windows 10 che va ad affiancarsi al più noto (ma meno potente) prompt dei comandi.
PowerShell è più potente perché include caratteristiche che ne migliorano la versatilità tra comandi e possibilità di scripting.

Attraverso del codice da inserire all’interno di PowerShell ci sarà possibile nascondere o rimuovere una volta per tutte i programmi preinstallati di Windows 10.

Per prima cosa dobbiamo lanciare PowerShell con privilegi da amministratore. Per farlo premiamo il tasto start e digitiamo PowerShell; prima di fare clic sopra però cerchiamo la voce esegui come amministratore e facciamoci clic sopra.

In alternativa possiamo richiamare un menu veloce usando la scorciatoia Windows + X o facendo clic con il tasto destro del mouse sull’icona Start in basso a sinistra. Da qui facciamo clic su Windows PowerShell (amministratore) per aprire il terminale con tutti i permessi del caso.

Nascondere il bloatware usando PowerShell

Adesso che abbiamo aperto PoweerShell è il momento di darci un po’ da fare alla vecchia maniera, con le istruzioni da riga di comando.

Scriviamo (o incolliamo) dentro la finestra del programma il seguente codice per nascondere le applicazioni in questione.

Get-AppxPackage -name "Microsoft.BingHealthAndFitness" | Remove-AppxPackage
Get-AppxPackage -name "Microsoft.BingFoodAndDrink" | Remove-AppxPackage
Get-AppxPackage -name "Microsoft.People" | Remove-AppxPackage
Get-AppxPackage -name "Microsoft.BingFinance" | Remove-AppxPackage
Get-AppxPackage -name "Microsoft.3DBuilder" | Remove-AppxPackage
Get-AppxPackage -name "Microsoft.WindowsCalculator" | Remove-AppxPackage
Get-AppxPackage -name "Microsoft.BingNews" | Remove-AppxPackage
Get-AppxPackage -name "Microsoft.XboxApp" | Remove-AppxPackage
Get-AppxPackage -name "Microsoft.BingSports" | Remove-AppxPackage
Get-AppxPackage -name "Microsoft.WindowsCamera" | Remove-AppxPackage
Get-AppxPackage -name "Microsoft.Getstarted" | Remove-AppxPackage
Get-AppxPackage -name "Microsoft.Office.OneNote" | Remove-AppxPackage
Get-AppxPackage -name "Microsoft.WindowsMaps" | Remove-AppxPackage
Get-AppxPackage -name "Microsoft.MicrosoftSolitaireCollection" | Remove-AppxPackage
Get-AppxPackage -name "Microsoft.MicrosoftOfficeHub" | Remove-AppxPackage
Get-AppxPackage -name "Microsoft.BingWeather" | Remove-AppxPackage
Get-AppxPackage -name "Microsoft.BioEnrollment" | Remove-AppxPackage
Get-AppxPackage -name "Microsoft.WindowsStore" | Remove-AppxPackage
Get-AppxPackage -name "Microsoft.Windows.Photos" | Remove-AppxPackage
Get-AppxPackage -name "Microsoft.WindowsPhone" | Remove-AppxPackage

Nascondendo le applicazioni non le rimuoveremo del tutto ma andremo semplicemente a rendere impossibile la nostra interazione con loro. In queto modo non potremo aprirle nemmeno per sbaglio senza però intaccarne le funzioni che, con un po’ di lavoro, possiamo comunque andare a richiamare.

In pratica è un buon sistema per “bloccare” l’uso delle applicazioni bloatware in Windows 10 senza rimuoverle davvero, per esempio per rendere più semplice l’uso di un PC a un neofita o rendere più pulita una postazione di lavoro.

Usare il comando DISM per eliminare il bloatware attraverso PowerShell

PowerShell tuttavia ci permette di fare molto di più, grazie al suo set di comandi aggiuntivi.

Per esempio DISM o deployment imaging service and management è una istruzione molto potente che può essere utilizzata per eliminare una volta per tutte i bloatware presenti.

Per prima cosa dobbiamo andare a conoscere l’intera lista di programmi che possono venir cancellati da DISM.
Per farlo utilizziamo il seguente comando:

DISM /Online /Get-ProvisionedAppxPackages | select-string Packagename

Ora a schermo dovremmo poter vedere l’elenco completo delle applicazioni rimuovibili.
Qui troveremo sia applicazioni bloatware che applicazioni lecite quindi, invece di cancellare tutto, ci conviene utilizzare la lista sopracitata per capire cosa eliminare e cosa no.

Il comando per eliminare effettivamente le applicazioni è il seguente:

DISM /Online /Remove-ProvisionedAppxPackage /PackageName:PACKAGENAME

Al posto di PACKAGENAME andrà inserita la stringa di testo tra le virgolette che abbiamo visto nella sopracitata lista.

Quindi, per esempio:

DISM /Online /Remove-ProvisionedAppxPackage /PackageName:Microsoft.WindowsPhone

Una volta completata l’operazione dovremo riavviare il dispositivo per assicurarci di aver cancellato una volta per tutte l’applicazione.

Usare lo script Windows 10 Debloater

Il programmatore Sycnex ha pensato di automatizzare il processo andando a creare degli script per rendere la rimozione del bloatware da Windows 10 una passeggiata… purché sappiamo dove mettere le mani

Questo script ci permette di scegliere attraverso un’interfaccia grafica cosa lasciare e cosa cancellare, dandoci anche la possibilità di reinstallare tali programmi se abbiamo cambiato idea in futuro.

Windows 10 Debloater (questo il nome dello script) è presente su GitHub a questo indirizzo.
Da GitHub facciamo clic sul pulsante verde code e selezioniamo dal menu a discesa download ZIP.

Estraiamo le cartelle Windows10Debloater e Windows10DebloaterGUI.

Avviamo Windows10DebloaterGUi con PowerShell per avviare un piccolo programmino con una semplice interfaccia e seguiamo le istruzioni a schermo per cancellare i bloatware in maniera relativamente sicura. Se siamo un po’ arrugginiti con le istruzioni dal linea di comando è senza dubbio una valida alternativa.

Convertire CSV in Excel

Convertire i CSV in Excel è facilissimo

Se cerchiamo di capire come convertire i CSV in Excel, la buona notizia è che praticamente non dobbiamo fare nulla.

Il formato .CSV o comma separated values è uno dei formati di file più antichi. In pratica è un file di testo all’interno del quale, usando un carattere separatore, vengono archiviati dati in modo che da questi si possa ricostruire una tabella. A tutti gli effetti è un file di testo (possiamo aprirlo facilmente con blocco note, per esempio), ma per poter visualizzare correttamente i dati all’interno dobbiamo sapere come convertire i CSV in Excel, per una lettura più semplice e per lavorarli meglio.

Il formato CSV è un formato “storico”, in cui il semplice testo sopravvive un po’ per consuetudine, come avviene per esempio con i file di log, un po’ perché effettivamente, se ci interessano solo i dati “duri e puri” è uno dei modi più efficienti per esportarli e importarli, dal punto di vista della dimensione del file generato.

Se dobbiamo lavorare con i dati contenuti in questi file all’interno di Microsoft Excel ci dobbiamo preparare ad effettuare un qualche tipo di conversione.

Ci sono minimo due diversi metodi per convertire i CSV in Excel. Il primo è decisamente più pratico, ma riporto anche il secondo per completezza e per tutti i casi in cui con il metodo più pratico le cose non dovessero funzionare.

Convertire CSV in Excel con l’importazione automatica

Il metodo più semplice è senza dubbio l’importazione automatica attraverso le caratteristiche di compatibilità di Excel.

Per fare questo dovremo aprire il file .CSV direttamente con Excel, facendo clic su home dal menu multifunzione e facendo poi clic su apri. In alternativa, se abbiamo le associazioni di file predefinite di Office, possiamo anche fare semplicemente doppio click sul file in questione.

In questo modo il programma cercherà di interpretare la struttura del file in questione.

Come tutte le procedure automatiche a cui Office ci ha abituato, spesso funzionano bene ma in alcuni casi è necessario metterci mano.

In questo secondo caso purtroppo il primo metodo non ci offre granché a livello di opzioni, per cui dovremo, per usare un vecchio adagio, chiamare la cavalleria.

Una delle cose che mi piace di più raccontare ai miei allievi durante i corsi (quelli basati su ECDL, ma anche tutti gli altri) è proprio il fatto che esistono più soluzioni per lo stesso problema. E in generale, quelle più veloci sono meno flessibili e viceversa.

[Nota: se vi state chiedendo perché lascio pubblicati i dati in chiaro, è semplicemente perché sto utilizzando file di esempio liberamente disponibili sul Web, per esempio questo]

Metodo 2: usare l’importazione dati legacy di Excel

Per usare lo strumento di importazione più strutturato dobbiamo ripristinare una vecchia funzione di Excel.

Dalla barra multifunzione facciamo clic su File, Opzioni (l’ultima voce in fondo alla colonna di sinistra) e poi selezioniamo la voce dati.
Qui, sotto la categoria mostra le impostazioni guidate di dati legacy, mettiamo il segno di spunta su da testo (legacy) e poi facciamo clic su ok.

A questo punto dalla barra multifunzione facciamo clic su dati e poi su recupera dati.
Qui facciamo clic su procedure guidate legacy e poi su da testo (legacy).
Selezioniamo il file .CSV da importare usando esplora risorse per aprire una finestra dedicata.

Qui dobbiamo scegliere tra delimitato o larghezza fissa in base a come sono separati i campi. Se esistono delle etichette che non vogliamo importare possiamo usare la voce inizia ad importare alla riga [X] per scegliere da dove far partire l’importazione.
Ricordiamoci di usare la finestra di anteprima per capire come verranno poi trasposti i dati.

A questo punto, nella seconda finestra, dalla voce delimitatori facciamo clic su virgola (o sull’altro carattere usato come delimitatore) e poi facciamo clic su avanti.

Scegliamo infine come formattare i dati, se come testuali, numerici, date o altro; possiamo selezionare manualmente le colonne dall’anteprima.

A questo punto avremo davanti a noi l’ultima finestra per l’importazione dei dati.
Da qui dovremo scegliere in quale punto del foglio di calcolo si vogliono inserire i dati e avremo terminato il procedimento.

Come è fatto un file .CSV?

In un file .CSV tutte le voci in questione sono divise da virgole (comma separated values in italiano vuol dire proprio valori separati da una virgola). Per la verità la convenzione prevede l’uso di caratteri diversi a seconda, anche in base al sistema operativo di origine. Ma il concetto rimane invariato.
Per questo motivo questi file sono molto popolari: appendere informazioni a un file di testo è un’operazione molto semplice dal punto di vista informatico, quindi è possibile da implementare anche, per esempio, su macchinari o strumentazione in cui la potenza di calcolo è davvero risicata-

Testo diagonale in word cover

Come tradurre un documento in Word

In Office 365 possiamo tradurre un documento in Word facilmente e velocemente, senza uscire dal programma.

Avere una traduzione accettabile di un documento oggi non è particolarmente complicato: esistono decine di servizi di traduzione, sia via Internet sia come applicazioni. Quello che forse non sappiamo è che possiamo tradurre un documento in Word, senza uscire dal programma, a condizione di avere una versione di Office 365.

Di solito, quando vogliamo tradurre qualcosa, dobbiamo copiare il testo, trovare un servizio di traduzione o un programma, incollarlo, copiare il risultato e incollarlo nuovamente in word. Una serie di passaggi infinita, che ci fa perdere molto tempo produttivo. Ma in Word di Office 365 possiamo fare tutto dall’interno del programma, letteralmente in due passaggi. Ecco come fare.

Come tradurre un documento in Word per intero

Questa è la parte più facile: apriamo la scheda revisione. Qui scegliamo lingua e infine traduci.

Tradurre un documento in Word

Poi spostiamoci nella sezione Documento del traduttore (translator) e scegliamo la lingua di partenza e di arrivo. Word scriverà un nuovo file con la versione tradotta del documento.

Come tradurre solo una parte di un documento

Se invece vogliamo tradurre solo una parte di testo, selezioniamola, poi apriamo di nuovo la scheda revisione. Qui scegliamo nuovamente lingua e traduci.

Usiamo l’opzione Traduci selezione invece di Traduci documento.

Nella barra laterale, Word ci presenterà il testo selezionato e quello tradotto. La lingua di partenza è rilevata automaticamente ma la possiamo cambiare, così come possiamo cambiare quella di arrivo.

La finestra di traduzione è editabile, quindi possiamo elaborare il testo direttamente qui. Oltre alle modifiche libere, il sistema ci dà una serie di suggerimenti per le alternative.

Facendo click su Inserisci, il testo sarà inserito nel documento. Attenzione: il testo tradotto sostituirà la selezione originale.

Come funziona la traduzione interna a Word

Il sistema di traduzione usa Bing Microsoft Translator. Nel caso delle lingue più diffuse, come inglese e francese, il risultato è accettabile, anche se come sempre non è all’altezza di una traduzione umana professionale.
Attenzione perché il sistema, anche dall’interno di Word, richiede che il computer sia connesso a Internet.

Ebbene si, finalmente è successo

Dopo circa un lustro lontano dalle riviste, sono tornato a scrivere anche sulla carta! La versione completa di questo articolo, con qualche consiglio, trucco e approfondimento in più è disponibile sul numero 202 di Il Mio Computer Idea.

Bloccare righe excel

Come bloccare righe e colonne in Excel

Bloccare righe e colonne in Excel è un ottimo sistema per rendere più leggibili i fogli, conservando sempre visibili le intestazioni.

Prima o poi le tabelle di Excel diventano illeggibili, soprattutto se contengono abbastanza righe e colonne da uscire dalla porzione visibile. Il modo più pratico per rendere una tabella di questo tipo più leggibile è senza dubbio quello di bloccare le righe o le colonne di intestazione, in modo che le altre celle continuino a scorrere ma la prima, o le prime, rimangano fisse e ci permettano di avere i riferimenti sempre sott’occhio.

Bloccare elementi in Excel: righe, colonne o entrambi

La funzione di blocco di righe e colonne si trova nel menu Visualizza. Apriamo lo cerghiamo la sezione blocca riquadri. La funzione più ovvia è blocca riga superiore, per bloccare la riga di intestazione.

La seconda funzione utile è blocca prima colonna che fa la stessa cosa della riga, ma in verticale. Naturalmente possiamo anche attivarle entrambe, per i fogli che hanno legende sia in verticale sia in orizzontale.

L’opzioni blocca riquadri permette di bloccare zone personalizzate. Tutte le righe sopra e le colonne a destra di quella selezionata verranno bloccate.

Infine sblocca riquadri, sempre nello stesso menu, rimuove tutti i blocchi.

Bloccare righe excel

Bloccare righe in Excel: da funzione nascosta a pulsante

Ricordiamoci che Moltissime funzioni di Excel compreso il blocco di righe e colonne, esistono praticamente da sempre. La vera novità è che nelle ultime versioni questa opzione, invece di essere affogata in un menù, è subito visibile. Nell’ultima versione di Excel dobbiamo solo aprire il menu Visualizza per trovare una sezione dedicata proprio a questa funzione, chiamata Blocca Riquadri.

Trattandosi di una opzione di visualizzazione, non modifica in alcun modo il contenuto delle celle, e ci permette comunque di effettuare tutte le operazioni “ordinarie” senza problemi.

Un piccolo trucco: anche se nella maggior parte dei casi questa funzione viene utilizzata per rendere più visibili le intestazioni, possiamo usarla anche per tenere sotto controllo i totali o le medie di un documento. Basterà inserirli, per esempio, nella seconda riga anziché in fondo. Dovremo solo abituarci a leggere il foglio di calcolo in modo leggermente diverso.

Ebbene si, finalmente è successo

Dopo circa un lustro lontano dalle riviste, sono tornato a scrivere anche sulla carta! La versione completa di questo articolo, con qualche consiglio, trucco e approfondimento in più è disponibile sul numero 202 di Il Mio Computer Idea.

Lezioni di SEO - un esempio di cosa racconto a scuola

SEO a Biella: si può lavorare bene in provincia?

La mia vita digitale e professionale è sempre stata improntata al dualismo: tecnologia e ruralità. E’ possibile fare il giornalista informatico, il divulgatore digitale l’insegnante e l’esperto SEO a Biella, nella piena provincia italiana? Sembrerebbe di si, ma bisogna imparare alcune regole di base della “sopravvivenza”.

Lezioni di SEO a Biella. Cosa ho fatto negli ultimi tre anni?

Ovviamente ho continuato a fornire i miei servizi di consulenza SEO, anche in forma privata, sia come seminari di formazione per permettere alle aziende di costruire autonomamente il loro posizionamento sui motori di ricerca, sia sotto forma di consulenza canonica.

Inoltre sono diventato SEO strategist per i fratelli di Hydrogen, creando strategie SEO dalla A alla Z diversi loro clienti.

Ma soprattutto, la parte che mi diverte di più sono le lezioni di SEO vere e proprie. Da quelle più creative e divertenti, come le lezioni di SEO alla maniera Zen (capitolo 1 e capitolo 2), fino ad arrivare all’insegnamento più canonico in aula (ecco per esempio il backlog di una delle numerose lezioni).

Di tanto in tanto, tempo permettendo, tento anche di scrivere qualche approfondimento sulla SEO. Il più divertente (e impegnativo) per ora è stato Strumenti SEO gratuiti provati per l’Italia. Che per la verità avrebbe bisogno di un aggiornamento.

Infine, nel 2020, ho deciso di sfruttare la contingenza dovuta alla pandemia come una opportunità: ho avuto la possibilità di estendere la mia collaborazione con Agenda Digitale Biella, tenendo alcuni seminari di SEO verticali, e ho lanciato alcuni progetti (per il momento ancora segreti) per verificare se le mie teorie su un certo approccio alla SEO più organico e meno irrigidito in regole e regolette hanno davvero successo, o se finora è solo stata fortuna.

In ogni caso, prima di proseguire con il tema “vero” di questo articolo, rimando al piccolo spazio pubbicità in fondo alla pagina. Se siete qui perché vi serve un consulente SEO a Biella (ma non solo!) facciamo quattro chiacchere.

Seo a Biella: era quello che cercavi?

Ok, a più di due anni dalla pubblicazione originale è ora di calare la maschera. Questo articolo era nato come scommessa, per dimostrare quanto facile fosse, all’epoca, costruirsi un posizionamento per una keyword poco presidiata.

Oggi, a distanza di qualche anno, abbiamo ottime testimonianze di esperti SEO a Biella (benarrivati a tutti ;) ). Che, finalmente, hanno deciso di investire un po’ di tempo a costruire la propria posizione utilizzando le strategie e le tecniche SEO che conoscono.

Visto che mi piace pensare che si tratti anche e soprattutto di una sfida positiva e divertente fra consulenti SEO concorrenti, provo a rilanciare, aggiornando questa pagina.

Professioni digitali in provincia? Why not?

Internet in particolare e il mondo digitale in generale è quel posto meraviglioso in cui, se racconti di fare il programmatore freelance viaggiando per il mondo zaino in spalla sei un caso da copertina, ma se dici, per esempio, di lavorare in un settore ugualmente specialistico come la SEO a Biella, ti guardano da marziano.

Perché per qualche strano motivo, l’idea del moderno hippy che gira il mondo imbracciando un portatile invece della chitarra ci fa dimenticare l’incubo di logistica che è un’idea del genere, a favore del che figata deve essere aggiornare una release da un bar a Miami mentre ti godi il tramonto e sorseggi un long island. Sorvoliamo sul fatto che alcol e codice non vanno d’accordo e anche sul fatto che se stai impazzendo con una versione mi sa che il tramonto non te lo godi. Sostituite “bar di Manhattan” con “paese della provincia di Biella” e provate a fare le stesse domande:

Ma come fai con la connessione?

I clienti come li raggiungi?

Come fai a rimanere in contatto con i colleghi?

Non è scomodo?

robert downey, jr alza gli occhi al cielo esasperato
Seeeehh, mi occupo di SEO e lavoro in provincia. E allora?

Di base è una questione di scelte: opportunità e competitività estreme contro una maggiore tranquillità e qualche grattacapo in più nello spiegare cosa fai e come lo vorresti fare. Ma ci sono comunque delle possibilità. Terminata questa lunga premessa, vorrei raccontare come si può vivere si innovazione (e di SEO) a Biella, con una nota a margine: si scrive Biella, ma si legge una qualsiasi città italiana di provincia. Cioè dove stanno la maggioranza delle persone e delle opportunità. Non è un mistero infatti che l’Italia sia una nazione fortemente ruralizzata, e basta guardare qualche dato  per rendersene conto: il “grosso” della popolazione in Italia vive ancora fuori dalle grandi città.

Ma bando alle ciance, ecco cosa ho imparato, in un racconto semiserio:

SEO a Biella: cinque regole di sopravvivenza

Fare SEO a Biella richiede ingenti quantità di caffeina
Preparati cara, che quella sarà la prima di una lunga serie di tazze di caffeina

1. Il Milanese ne sa sempre più di te.

Non importa quanto credito hai, dove hai insegnato, dove hai lavorato. l’Agenzia di Milano o il Consulente di Milano (o di Torino, o di Roma, per esempio), sono e saranno sempre la tua nemesi. Un mio carissimo amico la chiamava la sindrome di Calimero. Perché nella provincia l’equazione grande città = maggiore compentenza è ancora viva e vegeta. Anche se la storia recente dice un’altra cosa. Quindi davanti all’ultimo fesso con macchinone d’ordinanza, vestiti fighetti o hipster e accento bauscia sarai sempre in difetto. Anche se insegni nella scuola che lui ha frequentato fino al mese scorso.

La soluzione di buon senso: mostra i tuoi risultati, le tue credenziali, le tue collaborazioni e mettili a confronto con i risultati che ha portato a casa l’EspertoDiMilano

Il cheap trick: procurati dei biglietti da visita “metropolitani” e ostenta cadenza lombarda o torinese.

Pro tip: Se l’EspertoDiMilano è così bravo e lavora con tutti i “big”, perché viene a cercare a Biella un incarico da qualche migliaio di euro? Non è che magari a Milano, dove sei davvero dentro Tana delle Tigri, se lo sono già spolpato vivo perché è un fuffaro?

2. Innovare non è difficile, se sai con chi farlo e come.

Sfatiamo una credenza popolare: gli imprenditori di provincia non sono “lenti” o “retrogradi”. Semplicemente, sono pragmatici. Questo significa una cosa molto semplice: se ti danno dei soldi, vogliono vedere dei risultati veri e misurabili. E vogliono capire quello che stai facendo. L’atteggiamento “lasciami fare la mia magia” ha funzionato in certi ambienti e per un periodo limitato ma mai qui (e oggi, onestamente, è ridicolo in generale). E per chi si dedica a pratiche complesse come la SEO, a Biella o nelle altre zone in cui si ragiona per criteri produttivi, potrebbe essere un problema.

La soluzione di buon senso: facile. Spiegati. Bene, a fondo. Condividi i risultati, spiega onestamente i limiti e i rischi. Da imprenditore a imprenditore.

Il cheap Trick: conrfontati con le altre forme di pubblicità. “Hai contato quanti clienti ti ha portato l’inserzione sul giornale locale?”.

3. Guarda fuori dall’orticello

Uno dei principali problemi di chi si occupa di Digitale, Marketing e altre amenità come la SEO a Biella e nelle piccole città è che spesso l’ambiente e la facilità (relativa) con cui si ottengono i risultati porta a smettere di apprendere o di studiare. Per intendersi, fra gli “esperti” di SEO a Biella e a Vercelli resistono convinzioni come “devi pubblicare tutti i giorni alla stessa ora”; “I CMS  come WordPress non ti permettono di fare buona SEO on page”; capiamoci, qui si parla ancora di keyword density, meta tag e Pagerank come se fossero attuali. La ragione è di una semplicità sconfortante: poca concorrenza, poco stimolo. Ma soprattutto, la falsa convinzione che i lavori fatti per le realtà locali siano di piccolo cabotaggio.

La soluzione di buon senso: non smettere mai di studiare (per esempio, partendo dalla mia lista essenziale di risorse SEO ;) )

Il cheap trick: basta frequentare un paio di gruppi o pagine di settore per capire a che velocità si muove il “mondo di fuori”.

Occuparsi di SEO a Biella richiede DAVVERO quantità ingenti di caffeina
Nessun caffè è stato maltrattato nella scrittura di questo articolo. Ma occupandosi di SEO nel biellese se ne bevono molti.

4. Un fornitore è per sempre, e si compete poco

La stagnazione di cui sopra, che copre un po’ tutti gli ambiti della vita professionale biellese, dalla SEO ad altre attività digitali, in realtà è molto legata a una sorta di inerzia che si ha nel DNA: i fornitori vengono spesso vissuti come il negozio sotto casa. Ci si litiga, si discute, ci si confronta, ma non si cambiano. Le motivazioni vanno dal sono brave persone al ci seguono benissimo su tutto il resto (che spesso include, per esempio, le fotocopiatrici). Insomma, se siete fornitori di una piccola azienda di Biella, potete permettervi una quantità quasi infinita di errori e superficialità, perché il cliente quasi sempre presenterà rimostranze, si arrabbierà, ma non vi darà mai davvero il benservito. E molti se ne approfittato: hanno il Kit del Guru della SEO (oggi) di Internet (ieri) e dei computer (l’altro ieri), una valigetta alla quale cambiano solo etichetta, ma è la stessa dagli anni ‘90. E con quello infinocchiano allegramente gli imprenditori di provincia da quando vendevano a decine di milioni di lire i siti fatti con Frontpage.

La soluzione di buon senso: spiegate al vostro potenziale cliente quello che potrebbe ottenere con lo stesso budget da un vero professionista.

Il cheap trick: offritevi come terzista di uno dei fornitori di cui sopra. Vista la loro abilità commerciale, pensate cosa potrebbero fare con un vero prodotto da vendere…

5. Pensa locale, agisci locale ma osserva globale

Partiamo da una onesta ammissione: “Pensa globale, agisci locale” è un concetto affascinante, ma per la maggior parte delle PMI è inapplicabile. Quindi, se lavorate per un’azienda locale che cerca un migliore posizionamento SEO in Biella e dintorni, nella maggior parte dei casi questa vorrà sviluppare la sua presenza sul territorio. Il fatto di poter vendere a Bali o in Australia è in molti casi una chimera con cui i sedicenti esperti di web marketing hanno fatto la ruota per anni e in alcuni casi continuano a farla. Volete fare un favore alle aziende che cercano un posizionamento SEO interessante in una zona come Biella e il biellese (o come, abbiamo detto, tutte quelle simili)? Abbandonate le velleità internazionali e ricominciate dalla base: l’azienda è localizzata nel modo corretto? E’ presente Su Google Maps e sugli altri database? Abbiamo rivendicato correttamente tutte le proprietà? Possiamo discutere all’infinito in merito a se e quanto queste attività siano realmente SEO o appartengano ad altri insiemi, ma sono i fondamentali che mancano in una quantità stupefacente di casi.

La soluzione di buon senso: vedi sopra. Non dare nulla per scontato, e soprattutto non temere di essere “piccolo” o “umile”. Spesso darai un servizio migliore con le cose semplici di quello che daresti scimmiottando la campagna di HBO del 2015.

Il cheap trick: mi dispiace, in questo caso non c’è.

Mi occupo di SEO, lavoro a Biella, me ne vanto

Ok, ammetto di avere barato, almeno in parte. Perché Biella, da questo punto di vista, non è propriamente una “realtà come tutte le altre”. Ci sono svariate eccellenze in molti ambiti del Web, alcune estremamente famose, altre emergenti, altre ancora decisamente verticali. Con alcune ci ho lavorato, con altre lavoro tutt’ora, con altre le nostre “galassie” di conoscenze si sono appena sfiorate. L’aspetto curioso è come tutto questo tumulto di attività online di eccellenza avvenga in modo quasi invisibile rispetto alle attività tradizionali. Su tutti i livelli della catena alimentare del marketing online, da webdesign alla SEO, Biella è quel posto meraviglioso in cui un ecommerce di successo mondiale esiste nello stesso stabile di un bar che non ha nemmeno rivendicato la sua posizione su Google Maps e Tripadvisor. Come se gli esperti di SEO e altre discipline rimanessero inascoltata Cassandra appena escono dal loro ufficio. E in molti casi purtroppo è così, per ragioni che vanno dalla miopia imprenditoriale delle parti all’assenza di un linguaggio comune con cui intendersi e capirsi.

Un approccio strutturato alla SEO locale e alle pratiche SEO in generale

Ecco perché il mio approccio per la local SEO a Biella e nelle piccole città riparte ancora di più dalla mia filosofia: #writeforhumans: scrivi, progetta, ragiona per gli esseri umani, per le persone. E in questo caso, pensa anche il tuo lavoro in funzione delle persone: ascoltale, senti le loro esigenze. Fai davvero quello che è meglio per loro. Non importa se è “noioso”, “banale”, “scontato” e tu invece sogni di diventare il re della viralità o cerchi il guadagno facile. Il protagonista non sei tu. Il personaggio principale di un videogame geniale che ho scoperto con “solo” otto anni di ritardo a un certo punto dice pressapoco “il lavoro di un roadie è quello di far essere fighi gli altri”. Vale anche per chi si occupa di marketing o SEO, a Biella o in qualunque altro posto, in provincia in particolare.
Non dimentichiamocelo.

Aggiornamento: SEO, Biella ha bisogno di te!

In modo abbastanza inaspettato ( ;) ), questa pagina poche ore dopo la pubblicazione, che peraltro era pianificata dalla sera prima, senza particolare attenzione, è “volata” in terza posizione naturale in SERP per la parola chiave “Seo a Biella“. Intanto grazie a chi mi ha avvisato e poi, in attesa di avere dati consistenti, ne approfitto (ovviamente!) per un piccolo spazio pubblicità:

Se un articolo che ho realizzato “a tempo perso”, pubblicato su un blog che nemmeno è ottimizzato al 100% dal punto di vista tecnico finisce in terza posizione nel giro di poche ore, scalzando “avversari” di tutto rispetto, e con risorse ragguardevoli, immaginate cosa si potrebbe fare per la vostra azienda con un piano d’attacco ben strutturato!

Peraltro, nel quarto trimestre 2020 ci saranno importanti novità, che potrebbero cambiare in modo dirompente la scena SEO di Biella, e non solo. Rimanete aggiornati per le novità!

Ciò detto, se avete voglia di fare quattro chiacchere sono sicuro che i miei partner e io vi sapremo dare una mano con estremo piacere per tutti.

Dispense ECDL Gratis

Esami ECDL online, come funzionano? Hanno la stessa validità?

Da qualche tempo è possibile svolgere gli esami ECDL online, con una modalità riconosciuta da AICA stessa. Hanno la stessa validità di quelli in presenza.

Una piccola premessa: questo articolo sugli esami ECDL online nasce da una richiesta arrivatami attraverso i contatti di questo sito, che riporto in modo anonimo:

“Buongiorno volevo chiedere come poter fare per poter dare gli esami per ecdl it security e dattilografia e avere il punteggio che venga riconosciuto dal miur . Devo per forza fare il corso oppure posso studiare le sue dispense? e poi per dare gli esami come devo fare? Se invece dovessi fare il corso con esami online quali sono i siti piu’ validi? grazie”

Vado per ordine, anche perché buona parte delle risposte si trovano già sulle pagine del blog.
Iniziamo con il riconoscimento: ufficialmente esistono tre tipi di certificazione principale, cioè ECDL Base, ECDL Advanced e ECDL Expert, ma nessuna di queste prevede il riconoscimento di singoli esami (e francamente quello di dattilografia mi giunge nuovo). Ho già parlato dei livelli di certificazione nel dettaglio in questa pagina. Sinceramente non sono al corrente di eventuali riconoscimenti di singoli esami da parte del MIUR, ma il mio consiglio è quello di richiedere bene la modalità con cui vengono riconosciuti i crediti per la singola graduatoria, poi eventualmente muoversi di conseguenza. In ogni caso il corso non è mai stato obbligatorio nemmeno per gli esami in presenza, quindi le dispense possono essere più che sufficienti. Dipende da quanto conosciamo la materia, ma ne riparlerò alla fine di questo post.

Per quanto riguarda gli esami in presenza, è sufficiente contattare un test center e iscriversi. L’elenco completo delle sedi di esame ECDL si trova a questa pagina del sito AICA. Dove peraltro troviamo anche le indicazioni sulla parte più interessante (soprattutto perché non ne ho mai parlato prima): gli esami ECDL online.

Come funzionano gli esami ECDL online

Se seguiamo il link sopra possiamo vedere come gli esami ECDL online non solo hanno la stessa validità e lo stesso riconoscimento di quelli sostenuti presso le sedi accreditate, ma sono addirittura caldeggiati da AICA e dal mondo ECDL in generale.

Esami ICDL online

Come possiamo vedere sul sito ufficiale di ICDL (che è il nuovo nome ufficiale di ECDL, anche se la vecchia sigla ci accompagnerà per molto nella parlata comune), gli esami sostenuti online sono a tutti gli effetti equivalenti, a patto che si svolgano presso un centro accreditato.

L’elenco dei centri ufficialmente abilitati ad erogare gli esami online si trova a questa pagina e dispone di un comodo motore di ricerca per regioni.

Esami ECDL online sedi

Vale la pena di certificarsi online?

Visto che nella domanda mi si chiede anche un’opinione, secondo me dipende molto dalle nostre competenze iniziali e dal nostro obiettivo.

Se siamo già competenti nelle materie digitali e tutto quello che ci serve è l’attestato ICDL / ECDL che le certifichi, allora senza dubbio si tratta di una opportunità imperdibile per ottenere la nostra certificazione senza sprecare tempo e risorse logistiche, nel modo più efficiente possibile.

Se invece la nostra preparazione è claudicante o siamo nuovi della materia, allora probabilmente vale la pena di seguire un corso completo, in modo da avere a disposizione un insegnante che non solo ci guidi per permetterci di superare l’esame o gli esami, ma soprattutto ci trasmetta le reali competenze che ICDL / ECDL offre e che per moltissime persone oggi rappresentano un primo importante passo nella padronanza delle materie digitali.

Dispense ECDL Gratis

Come prepararsi all’esame ECDL Update 6.0

L’esame ECDL Update 6.0 è un buon modo per riqualificare le competenze per chi ha una certificazione ECDL datata.

Una recente domanda di una lettrice mi ha dato l’opportunità di aggiornarmi su questa interessante modalità. L’idea alla base è molto semplice: l’esame ECDL Update 6.0 è un esame di aggiornamento che permette, con una sola sessione, di convalidare la nostra certificazione ECDL ottenuta con i Syllabus precedenti, in particolare 3.0 e 4.0.

Per qualche motivo il sito AICA non parla della possibilità di effettuare l’Update dalla versione 5.0, probabilmente perché questa è in corso di validità.

Cosa studiare per prepararsi all’esame ECDL Update 6.0

Come sempre, le informazioni migliori sono quelle che ci vengono fornite dal sito AICA, in particolare in questa pagina che parla proprio di questo particolare esame.

Qui scopriamo che si tratta di un solo esame che copre i contenuti aggiornati al Syllabus 6.0. Nell’esame sono compresi tutti i moduli principali, cioè:

  • Computer Essentials (con contenuti dei precedenti moduli Core: Concetti di informatica generale e Uso del computer e gestione dei file)
  • Online Essentials (con contenuti dei precedenti moduli Core: Uso del computer e gestione dei file e Reti informatiche – Internet e Posta Elettronica)
  • Word Processing
  • Spreadsheets
  • Database
  • Presentation

Un aspetto curioso tuttavia è che visti i pochi cambiamenti fra il syllabus 5.0 e il 6.0, nemmeno le fonti ufficiali hanno aggiornato le dispense disponibili gratuitamente. Quindi sulla carta, non ci resterebbe che procurarci un manuale.

Qualche aiuto dal sito ufficiale

La nuova impostazione di AICA ci offre qualche supporto per prepararci a questo esame, che comunque è un discreto malloppo da 75 minuti.
Infatti, sempre nella pagina ufficiale, troviamo una meravigliose sezione chiamata come prepararsi all’esame, che in questo caso contiene un sample test, cioè una piccola esercitazione che ci permette di avere un esempio delle domande che ci aspetteranno in sede di certificazione.

Sfortunatamente le domande sono sempre le stesse (si tratta di un file da scaricare sul nostro computer), ma è comunque un buon aiuto.
il mio consiglio è molto semplice: proviamo a studiare con le dispense disponibili per la versione precedente, poi proviamo a superare l’esame di prova. Se va tutto bene, abbiamo risolto nel modo più semplice. Altrimenti avremo sempre tempo di procurarci un manuale prima di prenotare l’esame.

console war cover

Cosa ci sta insegnando l’ultima console war (che non c’entra con i videogiochi)

La console war fra PlayStation 5 e Xbox Series X|S ci sta insegnando almeno due cose che non hanno strettamente a che vedere con il mondo dei videogiochi. Eccole qui.

Le console war sono vecchie quanto i videogiochi stessi, o quasi (non è che l’Atari 2600 avesse tutti questi concorrenti all’inizio, ma già con gli otto bit le cose erano cambiate). E ormai fanno parte del Folklore del mondo dei videogame. La più recente, quella fra PlayStation 5 e l’accoppiata Xbox Series X / Xbox Series S non è nella sostanza molto diversa dalle precedenti.

Si parla sempre di grafica, di processore, di prestazioni, ma soprattutto di titoli ed esclusive. Ma questa è la parte più noiosa, di cui francamente non ho molta voglia di parlare: ho dato, con il mondo dei videogame, svariati anni fa, anche professionalmente. E come si suol dire è stato bello finché è durato. Tutta via la console war del 2020 porta con sé due lezioni molto interessanti. Una delle due ha a che vedere con la SEO e la vedremo per seconda. L’altra riguarda il mercato più in generale.

La Console War 2020 ci insegna che a volte i veri vincitori non salgono sul podio

Fra appassionati ci si sta scapicollando per capire chi sarà il vincitore, in termini di vendite, quote di mercato, hype. Ma diamo un’occhiata a questi grafici:

Immagini realizzate da newatlas.com/games/playstation-5-ps5-digital-edition-vs-xbox-series-x-s-specs-comparison/
Immagini realizzate da newatlas.com/games/playstation-5-ps5-digital-edition-vs-xbox-series-x-s-specs-comparison/

Nessuno nota nulla?

Esatto AMD realizza tutti i processori e tutte le CPU di tutte le console di prossima generazione.

Quindi, possiamo dire che AMD è la vincitrice assoluta: per l’azienda, che si vendano più Xbox o più PlayStation è assolutamente indifferente. Qualcuno diceva che durante la corsa all’oro, si arricchisce davvero chi vende setacci e picconi. Calza a pennello anche a questa console war.

E cosa ci insegna la console war 2020 sulla SEO?

Ovviamente, il lancio delle sue console, PlayStation 5 in particolare, ha suscitato molto interesse. Il che ha condotto a una rincorsa alla novità.
Tutto perfettamente normale fino a quando si rimane all’interno dell’ecosistema dei siti di videogiochi e tecnologia.

Ma guardate questi due:

E si tratta solo di due casi su molti: siti verticali di altri settori che, per ragioni insondabili a chiunque faccia questo mestiere con buon senso, decidono di rastrellare qualsiasi keyword che si crede possa portare traffico.

I risultati? Ecco qui:

Il risultato è ovvio a chiunque conosca davvero la SEO. Come sappiamo, il posizionamento dipende da moltissimi fattori. Fra cui anche l’autorevolezza del dominio nello specifico settore.

Mentre alcuni sono convinti che “basti scrivere su cose che interessano per fare traffico”. Il che può anche capitare, per brevi periodi di tempo. Ma il piccolo risultato ottenuto svanisce come neve al sole appena l’algoritmo di Google effettua un controllo più approfondito.

Se aggiungiamo che spesso questi articoli vengono relegati in categorie non visibili dalla navigazione, per non intaccare l’immagine del sito, abbiamo il quadro dell’ennesima tecnica obsoleta per ottenere traffico.

Perché parlare di tutto non funziona?

Per la verità funziona, se gestiamo un sito informativo generalista. Ma se siamo specializzati, non ha alcun senso. Lasciamo per un attimo da parte gli aspetti tecnici, e proviamo a immedesimarci nell’utente.

Crediamo davvero che un utente possa pensare
Hei, guarda quanto parla bene di meccanica quantistica questo sito sul collezionismo di collari per cani! Sicuramente sono altrettanto bravi a parlare di collari per cani! Aspetta che visito quaranta pagine”

Invece di
Cosa diavolo ci fa un articolo sulla meccanica quantistica in questo sito sul collezionismo di collari per cani? Si sono sbagliati o mi prendono in giro?”

Dal punto di vista più tecnico invece sappiamo che l’algoritmo di Google parte da una valutazione paritaria, in prima istanza, per poi affinarla con parametri come la pertinenza con gli argomenti abitualmente trattari e l’autorevolezza in quel campo.

Quello che trae in inganno chi analizza i risultati superficialmente è che in effetti è possibile che ci sia un periodo di interregno in cui la pagina si posiziona, temporaneamente, anche per un settore non coperto abitualmente. E magari generi traffico per qualche giorno.

Questo conduce a un circolo vizioso aberrante: a un certo punto l’articolo perde le posizioni e smette di fare traffico. Ma l’ultima volta che abbiamo parlato di un argomento che tira abbiamo fatto traffico, giusto? Quindi facciamo più contenuti su argomenti che tirano, non importa quali.
Centinaia di migliaia di parole macinate per essere visibili per pochi giorni.

Quando, con una linea editoriale precisa e una identità definita si possono ottenere risultati che durano nel tempo.

Questo blog, dalla sua posizione infinitesimale nel Web, conserva intatte le sue posizioni da anni. E ne conquista di nuove. Lentamente, ma con un contenuto al mese quando va bene.

La stessa cosa, su scala più grande, accade su diversi siti con cui collaboro.

Si ottengono risultati migliori con pochi contenuti ragionati che non con migliaia di contenuti privi di pianificazione e direzione.

Insomma, la console war 2020 contiene un insegnamento anche per la SEO ci sono ancora moltissime persone che la fanno nel modo sbagliato.

Bonus per addetti ai lavori: ha senso tentare di posizionarsi per le keyword branded, in particolare quelle forti?

Secondo me assolutamente no. Tanto, nel 99,9% dei casi il primo risultato della SERP ormai è la pagina ufficiale del prodotto. Che è esattamente quello che l’utente cerca con la keyword secca.

Ma parliamone qui sotto, se vi fa piacere.

[immagine di copertina: Fabian Albert on Unsplash (elaborata) ]

impossibile cliccare con il mouse macchina virtuale

Impossibile cliccare con il mouse nell’host VMware

Se stiamo gestendo un server VMware con vSphere ed è impossibile cliccare con il mouse, probabilmente è colpa di una impostazione di Windows.

Questo è uno di quei post che quelli bravi davvero chiamerebbero instant article: ho avuto questo problema, ho trovato la soluzione, penso che sia utile per molti, ne scrivo rapidamente. quindi sarà un po’ più breve dei miei soliti sermoni. Semplicemente, provando a gestire una macchina VMware attraverso vSphere, qualche giorno fa mi è successo che fosse impossibile cliccare con il mouse nell’host. Ecco la soluzione.

Impossibile cliccare con il mouse in vSphere: i sintomi

Il problema si manifesta in modo semplice ma frustrante: la macchina virtuale sembra funzionare (nel mio caso stavo cercando di installare una istanza di Lubuntu), ma i click del mouse non vengono recepiti o sono spostati anche di molto rispetto a dove vorremmo. Ecco un video che ho registrato che mostra il problema per come si manifestava a me.

Nel mio caso, usando la visualizzazione console di vSphere, la tastiera funzionava correttamente e la macchina rispondeva.

Insomma, l’unica cosa fuori posto era proprio il mouse.

Se il mouse non clicca in vSphere, è “colpa” di Windows

Se siamo esperti o appassionati di informatica di lungo corso, sappiamo che spesso la soluzione è semplice, ma in un contesto apparentemente scollegato da quello che stiamo usando. I

Questo è uno di quei casi. Perché il problema si risolve in un secondo, usando le impostazioni dello schermo di Windows. L’impossibilità di usare i controlli “grafici” come il mouse infatti è legato al ridimensionamento e layout dello schermo di Windows. Cioè la funzione che permette di ingrandire caratteri ed elementi grafici sullo schermo.

Ecco come risolvere:

Facciamo semplicemente click con il tasto destro in una zona libera del desktop del nostro computer e scegliamo la voce Impostazioni schermo.

impossibile cliccare con il mouse host VMvare

Nella finestra che si apre cerchiamo ridimensionamento e layout e impostiamolo al 100% anche se l’impostazione suggerita è diversa. Nel mio caso per esempio, in un portatile con schermo Full HD, la scelta consigliata è 125%, ma ho dovuto ignorarla.

impossibile cliccare con il mouse host vSphere

Una volta eliminato il ridimensionamento dello schermo, la macchina virtuale funzionerà alla perfezione, e finalmente potremo usare il mouse normalmente all’interno dell’host.

POSSIBILE cliccare con il mouse host VMvare

Qualche considerazione

Come abbiamo visto il risultato si ottiene in pochi secondi ed effettivamente, almeno nel mio caso, ha risolto tutto. Io stavo usando vSphere 5.5 su una macchina Windows 10, per installare la distro di linux Lubuntu. Su un server ESXi remoto.

E nel mio caso funziona tutto. Da quello che ho letto su qualche forum sembra LA soluzione, nel senso che è proprio un malfunzionamento dovuto all’incompatibilità fra il rendering video di Windows e la console di vSphere. Pare anche che versioni più recenti non mostrino lo stesso problema, ma non ho modo di verificarlo.

Spero di essere stato utile, buon lavoro a chi è arrivato fino qui!

tecniche SEO Obsolete

12 tecniche SEO obsolete, e come evitarle

La SEO è una disciplina in costante evoluzione. Vediamo 12 tecniche SEO obsolete che dovremmo evitare nel 2020.

Chiunque faccia questo mestiere da un po’ di tempo e con un approccio sistematico sa che la SEO è, fin dalle sue origini, una disciplina piuttosto confusa. Sia per la sua natura empirica, sia per la volontà di una certa categoria di esperti di costruire una sorta di aura intorno a una serie di concetti che, per la verità, sono piuttosto semplici.

Questo origina il fiorire di svariate tecniche SEO, che spesso non sono altro che la riduzione a regole di qualche moda del momento. Qualche tempo fa, un interessante articolo di Link Assistant ne ha riportate dodici. Come sempre, mi sono prodigato per tradurlo e localizzarlo, anche per semplificarlo e renderlo meno legato ai prodotti dell’azienda (alcuni dei quali sono notevoli, peraltro).

Ecco quindi una lista ragionata e rivista delle dodici tecniche SEO che dobbiamo evitare nel 2020 (alcune delle quali, onestamente, dovrebbero già essere evitate come la peste già da molti anni).

Le tecniche SEO obsolete da evitare

Le pagine ottimizzate per una sola keyword

Back in the days, l’algoritmo di Google non era eccezionale e come sappiamo produceva SERP diverse anche per ricerche molto simili. E ovviamente tuttisi buttarono a fare pagine ultraspecifiche per soddisfare ogni singola intenzione di ricerca. L’esempio dell’articolo originale lo spiega benissimo: chi produceva portatili per l’ufficio, avrebbe dovuto creare singole pagine per le keyword portatili per l’ufficio, portatili professionali, computer portatili per lavoro e così via.

Perché non funziona?

Principalmente, perché ha smesso di funzionare nel 2013, con l’aggiornamento chiamato Hummingbird. Da allora, il sistema identifica e posiziona le pagine anche per i sinonimi e le intenzioni di ricerca simili. L’italiano in quanto lingua “minore” ha ancora (pochissimo) margine per SERP differenziate, ma la tendenza è quella di uniformare e restituire i risultati in funzione dell’intenzione, non delle keyword per sé.

Cosa fare invece?

Per evitare questa tecnica SEO obsoleta, lavoriamo sull’argomento, non irrigidiamoci sulle keyword, che peraltro “valgono” sempre meno come entità a sé stante. Usiamo sinonimi e variazioni, che renderanno anche la lettura migliore per l’utente, che dovrebbe essere sempre il nostro obiettivo reale.

La densità delle keyword, la decana delle tecniche SEO obsolete

Altro concetto che risale agli albori della SEO. Un tempo si credeva che per far capire all’algoritmo che una pagina parla di un determinato argomento, fosse necessario ripetere la keyword principale diverse volte. Insomma quello che il (non troppo) buon (ma sicuramente) vecchio Yoast ancora adesso ci propone. Anche se per la verità i requisiti per ottenere il famigerato semaforo verde si sono ridimensionati. Secondo l’articolo, nel corso degli anni i sedicenti esperti SEO sono arrivati a sostenere che il cinque per cento del testo dovesse essere una ricorrenza esatta della parola chiave. Non ho nemmeno la forza di commentare. Non andrebbe nemmeno inserita fra le tecniche SEO obsolete perché la verità e che non ha mai avuto senso.

Perché non funziona?

Le keyword nel loro complesso hanno ancora una loro rilevanza, ma per dirci di piantarla con la densità delle keyword e l’uso ossessivo in generale si era scomodato addirittura Matt Cutts. Nel 2011.
Se non bastasse, ricordiamoci che il keyword stuffing è universalmente riconosciuto come spam, e può essere tanto controproducente. Oltre a essere il nemico numero uno della qualità del testo.

Cosa fare invece?

Prima di tutto, e collegandoci alla prima delle tecniche SEO obsolete, evitare di concentrarci su una sola keyword o più in generale su un numero limitato di keyword. Esistono ottimi strumenti in grado di fornirci uno scheletro di traccia da seguire con un numero accettabile di parole chiave. Ma soprattutto, è questo è un consiglio strettamente personale, investire più sulla qualità del testo e delle informazioni che non a giocare con le liste di keyword.

Insomma, se abbiamo un quarto d’ora da spendere, spendiamolo per approfondire l’argomento piuttosto che a fare strategia sulle keyword da utilizzare. Anche perché (ma potrebbe essere l’argomento di un prossimo post) la competenza in un settore trascina nel testo una quantità impressionante di keyword secondarie e di coda lunga, spesso in modo migliore rispetto agli strumenti analitici.

La lunghezza del testo

Altro cavallo di battaglia dei consulenti SEO preistorici: ingabbiare i testi fra una lunghezza massima e minima. Personalmente mi ha sempre fatto ribrezzo il solo pensiero di vendere testi come il prosciutto al banco (Signora, sono 485 parole, che faccio, lascio? Come dice, ne voleva 450 giuste?). Ma al di là di questo, chiunque non abbia iniziato a scrivere l’altro ieri sa che la lunghezza perfetta cambia in funzione dell’argomento che si tratta.

A scanso di equivoci: lavorare su lunghezze predeterminate non è sbagliato per sé: sulle riviste cartacee per esempio si fa da sempre. Ma in quel caso si sceglie l’argomento in funzione dello spazio. Purtroppo nella SEO la tendenza diffusa è quella di comprimere o stirare l’argomento per incastrarlo in uno spazio predeterminato. Una differenza tutt’altro che sottile. Ma sto divagando.

Tornando a noi, la lunghezza del testo è sicuramente importante, ma lo è per i lettori. Tutte le ricerche infatti dimostrano come i testi lunghi siano mediamente preferiti dagli utenti, vengano più condivisi e (secondo l’articolo originale) attraggano più backlink. Pronti via, capendo male e distillando peggio la differenza fra SEO ed engagement, ecco che i consulenti SEO (nostrani in particolare) avevano confezionato la solita regoletta sulla lunghezza consigliata. Che negli anni ha fluttuato per assestarsi intorno alle 1.500 parole. E che naturalmente non funziona. O meglio, non si può considerare una regola universalmente valida.

Perché non funziona?

Lo dico con parole mie. Banalmente, perchè è stupido anche solo pensare di poter far rientrare ogni argomento in 1500 parole.

Perché se devo spiegare di che colore era il cavallo di Napoleone, dopo aver scritto BIANCO dovrò menare le tolle al lettore per altre 1.499 parole. O peggio, come fanno alcuni siti anche molto famosi, menerò le tolle al lettore per 1.499 parole prima di scrivere “bianco”. La dimostrazione che questo modo di scrivere è morto e sepolto la abbiamo da un famoso sito di tutorial, il cui andamento nell’ultimo anno è questo:

Lo stesso ovviamente vale al contrario. Se devo spiegare a un lettore cosa sia una modulazione 64 PSK da zero, 1.500 parole mi bastano appena per la premessa.

Cosa fare invece?

Dimentichiamoci una volta per tutte le lunghezze predeterminate, archiviamole fra le tecniche SEO obsolete e passiamo oltre. Scriviamo fino a quando l’argomento non è concluso. Se lo facciamo per terzi, chiariamo molto bene questo aspetto in fase contrattuale, spiegando al cliente che stabilire aprioristicamente una lunghezza è un pessimo servizio.

E soprattutto, mettiamoci in condizione di poter scrivere bene e senza dover centellinare le parole per stare nel budget o stiracchiare un argomento per raggiungere l’obiettivo di battute.

I backlink dal web 2.0 (social e compagnia bella)

Quando il nostro era un mondo semplice, ottenere più link era sempre una buona cosa. Anche se venivano da social e forum. Questo ovviamente ha generato i soliti mostri di spam selvaggio, che, come al solito, ha portato Google a correre ai ripari.

Perché non funziona?

In questo caso è peggio. Se cercate nel dizionario sotto la voce inutile e dannoso ci sono i backlink provenienti dai contenuti generati dall’utente. Nel 2005 Google ha chiarito che le pagine e i siti con molti backlink di questo tipo vengono penalizzate. Se vi siete mai chiesti da dove abbia origine l’abominio del nofollow, ora lo sapete: dovete dire grazie a chi ha spammato come un animale.

Cosa fare invece?

Facciamo prima di tutto un distinguo: non tutti i link sono inutili per la SEO, e allo stesso modo non possiamo archiviare ogni attività basata sui segnali social fra le tecniche SEO obsolete. Ma certamente quelli provenienti da forum o pagine note per essere popolati di spammer sono negativi. D’altro canto, questo non significa che non siano utili ad altri obiettivi. Per esempio, diverse persone oggi cercano contenuti direttamente all’interno di piattaforme come Instagram o YouTube. Esserci con i dovuti accorgimenti (che vorrebbe dire anche una SEO dedicata) significa ottenere traffico anche da quelle fonti. Ma deve essere chiaro che punto o poco ha a che vedere con la SERP di Google.

Inoltre, i link di buona qualità continuano a funzionare. Sempre che non siano ottenuti con tecniche poco raccomandabili.

I Network di Blog privati

Altra tecnica molto in voga qualche anno fa, l’idea di creare un nostro network di siti per generare link verso il sito principale. Ovviamente, controllando tutto, abbiamo molta semplicità a generare collegamenti. Per diverso tempo è stato in effetti un modo piuttosto rapido per sollevare il ranking del nostro sito principale.

Perché non funziona?

Per dirla con un eufemismo, la tecnica non è apprezzata dall’algoritmo di Google. Secondo alcuni è considerata una tecnica al limite del black hat SEO. Ci sono alcuni network che funzionano, ma per aggirare i controlli è necessario produrre contenuti di qualità, utilizzare IP diversi e diversificare il profilo backlink. Un lavoraccio, che è praticamente come gestire davvero ogni sito come se fosse una pubblicazione reale.

Cosa fare invece?

L’articolo originale suggerisce di usare uno strumento dell’azienda con verificare il profilo backlink dei competitor, e verifcare se sia possibile procurarsi link analoghi, evitando i nofollow e quelli di bassa qualità.

L’alternativa, ovviamente, è quello di mantenere un network reale di siti da usare a supporto delle nostre attività. E, visto il costo attuale dei backlink, potrebbe non essere un’idea così campata per aria.

Guest blogging (aka Guest Posting)

Far ospitare un intervento “sponsorizzato” su un altro sito non è una cattiva idea di per sé, ma come sempre l’abuso ha generato mostri di post uguali, ripetitivi, al limite dello spam. Anche questo tipo di attività, insomma, è stato spremuto al limite, e ora fa parte delle tecniche SEO obsolete, fondamentalmente per esaurimento.

Perché non funziona?

Anche questa volta, è stato proprio Matt Cutt a disincentivare l’uso dei guest post, nel 2014. Ma soprattutto, Google oggi valuta la qualità di ogni singola pagina. Quindi, un pessimo post su un ottimo sito, ci darà risultati pessimi. In alcuni casi, addirittura penalizzanti.

Cosa fare invece?

Per la verità, la tecnica funziona ancora. Ma deve essere messa in pratica con un livello qualitativo molto elevato. Quindi, il profilo del sito che ci ospita deve essere molto alto, e la qualità del post che chiediamo di ospitare deve offrire un reale valore aggiunto per i suoi lettori.

Anchor Text corrispondenti alle keyword esatte

Altra tecnica SEO obsoleta che fa parte dell’arsenale della maggior parte degli esperti SEO: quando si richiede un backlink, lo si richiede per una keyword esatta. La mia opinione è sempre stata che se non viene fatto più che bene genera testi illeggibili, quindi è da evitare per la prima e la seconda regola d’oro (il contenuto è il re; il contesto è la regina). Finalmente ho le prove, grazie a questo articolo che sto traducendo: non solo è inutile, ma rischia di essere considerata una pratica manipolativa. Possiamo leggere i ragguagli sulla Guida di Google.

Perché non funziona?

Semplicemente, l’algoritmo di Google non è più così banale. I link vengono valutati usando il testo che li circonda e spesso anche un contesto semantico ancora più allargato, per stabilirne il reale valore. Al contrario, i link sovraottimizzati vengono visti come non naturali e quindi parte di uno schema. E come pratica scorretta, portano quasi sicuramente a una penalità.

Cosa fare invece?

Ancora una volta, la scelta migliore è quella che implica meno sotterfugi. Possiamo ricorrere a keyword branded (per esempio Massimiliano Monti), a link nudi (per esempio www.filippomiotto.net) oppure a collegamenti lunghi (per esempio un altro ottimo consulente SEO con cui lavoro e che si occupa anche di Web Marketing in generale).

L’ottimizzazione E-A-T

Dopo l’aggiornamento di agosto 2018, che ha influenzato soprattutto i siti che trattavano temi medici e vicini alla salute, si è creata la convinzione che il fattori sintetizzati nell’acronimo E-A-T (Expertise, Authority e Trustworthiness) fossero fondamentali. Come sempre questa convinzione ha portato a un florilegio di regolette: di certi argomenti possono scrivere solo autori con una certa reputazione, bisogna ottimizzare le pagine about, quelle dei termini e condizioni, bisogna aggiornare i post vecchi, le menzioni social sono importanti, e così via.

Remote Working errori e soluzioni

Perché non funziona?

In questo caso, nessuna delle attività sopra citate è dannosa, ma non esistono prove definitive della loro efficacia. Se abbiamo tempo e opportunità le possiamo seguire, a favore degli utenti, ma in molti casi diventano un enorme spreco di risorse.

Cosa fare invece?

In questo caso Link Assitant suggerisce di usare il proprio strumento per effettuare un’ottimizzazione tecnica invece di rendere perfetti testi e contenuti che sono già di qualità. Mi permetto di suggerire una soluzione mediata: ok alla revisione e ottimizzazione, anche di testi e contenuti, ma concentriamoci su quelli di qualità più bassa. E usiamo il resto del tempo per i fix tecnici e per lavorare sulla velocità del sito, per esempio.

AMP, ovvero come le tecniche SEO obsolete a volte sono semplicemente sbagliate

Chiunque lavori con la Rete dovrebbe conoscere AMP, il framework fortemente voluto da Google per erogare pagine molto velocemente su dispositivi mobili. Anche in questo caso è successo quello che succede sempre: qualcuno ha rilevato un aumento di traffico usando AMP, e immediatamente la comunità ha vampirizzato AMP dandolo per indispensabile.
In realtà, non è affatto così.

Perché non funziona?

Prima di tutto, come riporta l’articolo originale, AMP non è un fattore di ranking:

https://twitter.com/JohnMu/status/1101071243917361152

Secondariamente, i risultati di AMP dipendono dal tipo di sito. Perfetto per siti di news e media, per via delle sezioni di SERP specifiche che Google ha creato (Carousel e così via). Ma per tutti gli altri tipi di siti non ci sono evidenze di vantaggi.

Cosa fare invece?

Questa è facile: invece di adottare un framework apposito per ottenere velocità maggiori, lavoriamo sulla velocità del sito in generale. I risultati saranno più solidi.

Content Spinning

Casomai ci fosse bisogno di specificarlo, produrre decine di pagine con piccolissime variazioni non ha alcun senso. Ne aveva più di dieci anni fa, quando l’algoritmo di Google era molto meno raffinato e privilegiava la quantità sulla qualità. Spesso era associata alla creazione di backlink dai social, che abbiamo visto prima.

Perché non funziona?

Oggi le pagine di bassa qualità possono avere due destini. Nella migliore delle ipotesi vengono ignorate. Altrimenti, se l’algoritmo identifica uno schema vengono penalizzate. Altro caso di tecnica SEO inutile e dannosa.

Cosa fare invece?

Se dobbiamo creare contenuti, la scelta migliore è aggiornare (in modo intelligente) i vecchi post e articoli, magari facendoci aiutare da uno strumento di analisi. L’idea di riscriverli modificandoli leggermente è delirante. Richiede più sforzo e porta meno risultati. Usiamo quello che già funziona e attualizziamo i contenuti, aggiungiamo approfondimenti e così via.

I domini con parole chiave esatte

I domini con corrispondenza esatta di parole chiave, o quelli con molte parole chiave, una volta erano considerati un segnale molto forte di rilevanza per la ricerca. Per un brevissimo periodo era così facile ottenere posizioni con dominio adatto alla ricerca, che il contenuto passava in secondo piano. Anche in questo caso, appena la scorciatoia è diventata palese, i domini con corrispondenza esatta sono entrati nella lista dei segnali ignorati.

Perché non funziona?

Perché lo ha detto Matt Cutts. Nel 2012. Eppure qualcuno è ancora convinto che funzioni.

Cosa fare invece?

In questo caso non è penalizzante, ma inutile. Inoltre ci costringe a nomi lunghi, complicati da scrivere e a rinunciare al nostro marchio. Insomma, sacrifichiamo molto per non avere nulla.

Il meta tag keyword

Roba da museo dei motori di ricerca. Eppure, sono ancora molto richieste da molti clienti, e proposte da alcuni consulenti SEO. Come dovremmo sapere, si tratta di un tag HTML specifico per elencare le keyword di una pagina. Si tratta probabilmente del primo caso della storia della SEO di abuso, che ha costretto Google a correre ai ripari.

Perché non funziona?

Undici anni fa Google ha fatto un annuncio ufficiale in cui diceva al mondo intero che non usa il tag Meta Keyword per classificare le pagine. Più di così… Eccolo qui, per la cronaca.

Ancora una volta, usarlo non penalizza (sempre che le keyword non siano dissociate dal reale contenuto), ma è una perdita di tempo. Alcuni CMS le inseriscono in automatico, sulla base per esempio delle tag, e se sono coerenti non c’è nulla di male (ma sulle tag di WordPress, per esempio, andrebbe aperta una enorme parentesi).

Cosa fare invece?

Guarda caso, l’unico modo per “pilotare” Google è quello di produrre contenuti di qualità, sia dal punto di vista tecnico, sia da quello semantico, e di soddisfare le intenzioni di ricerca. Facendo un uso moderato e intelligente, per esempio, degli strumenti che ci suggeriscono le keyword.

Un pensiero finale

In questo mi discosto un po’ dall’articolo originale. Perché, scorrendo questa lista, emerge n tema dominante e principale. cioè che nella SEO le scorciatoie non funzionano mai o, se lo fanno, è per un periodo estremamente limitato. Gli esperti SEO continuano ostinatamente a cercare sistemi per evitare di produrre buoni contenuti, ma è sempre più evidente che produrre contenuti di qualità è l’unica tecnica SEO che non diventerà mai obsoleta.