lezioni di SEO risorse

Le mie lezioni di SEO: prima di tutto, un po’ di risorse

Una selezione delle risorse che consiglio ai miei allievi quando tengo lezioni di SEO e di web marketing in generale.

Che io nasca come insegnante ECDL non è un mistero, ma nel corso degli anni ho avuto la fortuna di poter insegnare le materie più disparate, dal marketing online per radio e web radio, alla comunicazione digitale per aziende, passando per il social media marketing fino ad arrivare al web marketing, che come spiego spesso non è altro che un termine ombrello per racchiudere una infinità di discipline diverse. Negli ultimi anni, sia per necessità, sia per un “richiamo della Foresta” difficile da spiegare, mi sono avvicinato sempre più alla disciplina SEO, che naturalmente cerco di trasmettere ai miei allievi ogni volta che ne ho l’occasione. Il motivo per cui la SEO mi affascina sarà oggetto di un post, prima o poi, per ora dico solo che la trovo così vicina all’enigmistica da avere un fascino tutto suo.

Per la verità, le mie lezioni di SEO sono un po’ fuori dai parametri

Prima di tutto perché abitualmente mi occupo solo della parte di creazione dei contenuti: la mia filosofia è di lasciare a ognuno fare il lavoro che sa fare meglio, e nella parte tecnica, quella di ottimizzazione on-page, ci sono persone ordini di grandezza avanti a me. All’interno dei gruppi di lavoro che frequento e/o ai quali insegno, utilizzo due definizioni, che probabilmente faranno alzare più di un sopracciglio ai puristi: SEO editoriale è diventato il termine ombrello per tutto quello che riguarda i contenuti, mentre SEO tecnica riguarda tutti gli aspetti di ottimizzazione, dal codice al server passando per il design. Non sarà il massimo, ma aiuta a capirsi rapidamente e rende abbastanza bene l’idea delle due macro-categorie di maggiore influenza. Ma sto divagando.

Secondo alcuni, la SEO Editoriale è principalmente una questione analitica. Purtroppo, con un DNA da giornalista pubblicista, non posso fare a meno di pensare che l’apporto umano sia decisivo. Ne parlerò più diffusamente, ora semplifico per estremi.
Se devo fidarmi della mia esperienza diretta, come questo blog e diversi contenuti che ho “seminato” in Rete, c’è un aspetto ineffabile che sancisce il successo di un contenuto, che sia un articolo o un video: la mano di chi scrive.

Lezioni SEO o lezioni di giornalismo? Un po’ e un po’…

Ci sono i contenuti formalmente perfetti da ogni punto di vista SEO, e poi ci sono i contenuti che si leggono, guardano, gustano volentieri. E questi sono gli unici che funzionano davvero. Spesso anche sfuggendo alle regole formali. Gli esperti hanno provato a canonizzare questi aspetti chiamandoli in mille modi, da sentimentcustomer satisfaction passando per zeitgeist.

Lezioni di SEO gatti

Lezioni di SEO cheap #1: inserisci immagini per catturare l’attenzione.
Lezione di SEO cheap #2: usa il sentiment.
La rete pensa che i gatti siano carini, mettendo insieme questi due suggerimenti farò sicuramente qualcosa di buono vero? O forse no?
Eppure, secondo le statistiche…

 

Io semplifico moltissimo, limitandomi al campo della parola scritta, dicendo durante le mie lezioni SEO (SEO per modo di dire!) che i contenuti destinati al successo sono quelli che si leggono volentieri o, come amo riassumere in un hashtag, #writeforhumans.
La sfiga è che bisogna saper scrivere bene, e non è una cosa che ci possono insegnare le statistiche, le metriche o le analisi.

Read More

Esercizi ECDL per fare pratica

Esercizi ECDL per fare pratica

Gli esercizi ECDL vanno eseguiti prima dell’esame o basta studiare i libri di testo? Dipende da cosa volete fare del vostro patentino…

Nel mondo dei computer è fondamentale affiancare a qualsiasi tipo di nozione acquisita in via teorica una sana dose di pratica e questa regola generale è quanto mai valida per il superamento degli esami, per i quali vengono caldeggiati un buon numero di esercizi ECDL. Anche se…

Esercizi ECDL: secondo le buone pratiche servono

In sede d’esame infatti il tempo concesso per la compilazione del questionario relativo ad ogni modulo è limitato e viene misurato con massima precisione. Eseguire degli esercizi a casa per far pratica in vista dell’esame ECDL è quindi una scelta molto saggia.

Al momento in cui si decide di voler conseguire la patente europea per l’uso del computer è bene sapere fin da subito quale livello di preparazione si intende raggiungere.

Questo, almeno, è quello che vi direbbe un buon insegnante ECDL, e anche quelli che cercano di cavarsela come il sottoscritto ;)

Tuttavia, la struttura estremamente formale (“da patente di guida” come ripeto spesso in classe) fa si che uno dei “segreti inconfessabili” del sistema ECDL sia proprio questo: gli esami si possono superare anche senza fare esercizi pratici, ma è una pessima idea, per diversi motivi.

Prima di tutto perché il desiderio di acquisire dimestichezza con i mezzi informatici che dovrebbe essere una priorità per chiunque nel 2017, soprattutto per chi ha deciso di (o si è trovato a dover) colmare le proprie lacune con un percorso come quello della Patente Europea. Ma questo non è che il motivo più “scolastico”.

Evitare gli esercizi ECDL prima dell’esame ha senso?

Sinteticamente: no, è una scelta insensata. Anche se lo studente pigro e furbetto che alberga in ciascuno di noi ci illude del contrario, è molto più faticoso elaborare artifici e soluzioni “alternative” che non studiare semplicemente per l’esame e prepararsi con qualche buon esercizio. In parole più crude, chi pensa di fare il furbo in realtà non è per niente furbo perché farà più fatica, sarà più stressato e rischierà di più. Insomma, il gioco non vale la candela. Chiarito questo, veniamo al punto.

L’ECDL si articola in moduli, alcuni obbligatori altri a discrezione dello studente. Scegliendo tra un ventaglio abbastanza ampio di argomenti, è possibile ritagliare la propria formazione su reali necessità o sui veri interessi di chi consegue l’ECDL.

Il livello base prevede il superamento degli esami relativi a 4 moduli ECDL, sostenere il test per ogni modulo ECDL costa allo studente 30 Euro, ma numerosissimi corsi convenzionati includono nel costo di iscrizione un “voucher” o “ticket” per poter dare l’esame.

Come si svolgono i test ECDL

Per ogni modulo si affronta un esame ECDL che consiste nella compilazione di un questionario che richiede diversi tipi di risposte in un lasso di tempo predeterminato. Vengono concessi 35 minuti per il primo modulo, 45 minuti per tutti i moduli successivi al primo.

I test ECDL vanno sostenuti dai candidati in uno dei moltissimi test center ECDL distribuiti in maniera capillare in tutta Italia e, naturalmente, attraverso un PC.

Perché è importante la simulazione dei test ECDL

Dal momento che il fattore tempo è determinante tanto quanto la correttezza delle risposte nel superamento degli esami ECDL, è di fondamentale importanza acquisire dimestichezza con il sistema prima di arrivare in sede d’esame.

In particolare i questionari contengono domande a risposta secca, risposta multipla, associazione e trascinamento. E’ davvero molto utile quindi imparare a non trovarsi spaesati davanti alle diverse schede, capendo al volo quali sono le operazioni da eseguire senza perdere secondi preziosi.

Per ogni modulo, esercizi ECDL appropriati

Gli studenti che intendano far pratica durante lo studio per verificare la propria preparazione troveranno on line materiale specifico, basato sugli argomenti relativi a ogni modulo.

Sul sito Simulazione ECDL sono disponibili on line un certo numero di test per ognuno dei moduli previsti dalla Nuova ECDL.

Una valida alternativa è Informaquiz, che dedica agli esercizi della Nuova ECDL una sezione specifica. Questo software opera in maniera casuale, pescando dai questionari utilizzati negli anni passati un tot di domande per ogni modulo. Anche il sito Ufficiale di AICA mette a disposizione alcuni esercizi, maggiormente finalizzati alla pratica e quindi a ottenere la giusta padronanza di ciascuno degli argomenti. Possiamo trovarli come sempre nella sezione Preparati all’esame, alla voce ECDL Full Standard Sample Test. L’esercitazione completa è disponibile in una cartella compressa in versione Microsoft Office (download) e in versione OpenOffice (download).

Questi esercizi sono particolarmente importanti per chi non intende fermarsi alla certificazione, ma intende approfondirla in modo da poterne trarre un vero profitto nella propria vita professionale. Naturalmente il mio consiglio, per tutti è di fare pratica con questi esercizi e con tutti quelli che vi possono capitare a tiro. L’uso degli strumenti digitali, infatti, si può imparare davvero solo con la pratica continua.

Esame ECDL con Windows XP: è ancora possibile?

Alcuni giorni fa, parlando con un caro amico, mi ha raccontato di aver patito le pene dell’inferno nel cercare di aiutare una sua conoscente, perché questa si stava preparando all’esame ECDL con Windows XP. E lui, per aiutarla, ha dovuto creare una macchina virtuale apposita con tutte le complicazioni del caso.

Perché ci sembra così strano usare Windows XP per l’ECDL?

Il primo motivo è il più banale: è un sistema operativo nato 16 anni fa. Per i tempi dell’informatica, un’era geologica, e anche per le persone, non è che si scherza. Se lo usate su un computer che è stato comprato con questo sistema operativo, significa che ha, nella migliore delle ipotesi, dieci anni. Che sono tanti per un’auto o uno scooter, figuriamoci per uno strumento tecnologico.

La seconda e più importante ragione è che anche Microsoft ha interrotto qualsiasi supporto a Windows XP l’8 aprile 2014. Significa che da almeno tre anni questo sistema operativo è abbandonato a sé stesso, senza nessuna manutenzione o aggiornamento.

Quindi, affrontare l’esame ECDL con Windows XP significa, di fatto farlo su un prodotto ben oltre la fine della carriera e soprattutto decisamente obsoleto. Che per una certificazione che dovrebbe agevolare l’inserimento nel mondo del lavoro sembra un controsenso.

esame ECDL con Windows XP

Wikipedia ci ricorda quanto è “vintage” Windows XP

Esame ECDL con Windows XP, è possibile?

A giudicare da quello che possiamo leggere sulla pagina ufficiale delle software suite, si, è possibile. La pagina è aggiornata al 12 aprile 2017, ed elenca espicitamente Windows XP in molti dei moduli. Attenzione però, perché le cose cambiano se ci rivolgiamo alle pagine ufficiali del sito europeo. Per esempio, visitando quella che si riferisce al modulo Computer Essentials, non troviamo più WindowS XP fra i software, ma solo le versioni successive. Sembrerebbe, insomma, che a livello europeo il sistema operativo più datato per conseguire la certificazione ECDL sia Windows 7. Il dubbio, quindi, è legittimo. Lo studente ECDL italiano che armato di buona volontà e una certa passione per il vintage si sia certificato ECDL nel 2017 con Windows XP, vedrà la sua competenza riconosciuta a livello europeo?

Windows XP nel 2017, il rovescio della medaglia

Ora, dal mio punto di vista,effettuare il test ECDL con Windows XP, o con qualsiasi altro sistema operativo non ha poi tutta questa differenza, anzi: XP, proprio perché più datato, è più spartano e in alcuni casi permette ai neofiti di capire meglio cosa si muove “sotto al cofano” e alcuni principi di base. Certo, è come andare a scuola guida con una Uno del 1985, ma, come si direbbe in campo automobilistico, così si impara a sentire il motore. Vero o falso che sia, rimane che per comprendere i principi di base come copia / incolla, file e cartelle e per levarsi il timore di usare i computer, può essere una soluzione accettabile. Non eccezionale, ma accettabile. Quindi, fermo restando che secondo la fonte ufficiale in Italia ci si può certificare ECDL su Windows XP, rimane un problema: Windows XP sopravvive su meno del 9% dei computer installati al mondo, secondo Net market Share. Quindi, la domanda più che lecità e: che senso può avere imparare a usare il computer su una piattaforma di minoranza?.

esame ECDL con Windows XP

 

La questione del test ECDL con Windows XP ne solleva altre

La risposta non è semplice, e ci mette di fronte a una serie di bivi. Perché se da un lato è vero che i sistemi operativi moderni offrono una infinità di funzioni in più, è anche vere che la vita digitale delle persone si svolge sempre meno dal PC. Ad eccezione dei contesti lavorativi, infatti, l’uso del PC è sempre più relegato ad appassionati e a chi ha un hobby specifico (fotografia, montaggio video). La mia esperienza mi dice che gli altri spesso fanno quasi tutto dal telefono o dal tablet e, anche se usano il PC, di rado si allontanano dalle web App e dal browser.

Il primo problema, dunque, sarebbe quello di dividere l’approccio per il mondo del lavoro, che per la verità abbiamo sempre inteso come obiettivo principale di ECDL, da quella che è la “cittadinanza digitale”, cioè l’opportunità anche per chi non deve usare in Digitale e Internet per lavoro, di accedere alle opportunità di questo mondo.

Qualcosa in questo senso, nel mio piccolissimo, ho cercato di fare nell’imprinting del progetto #Biellainclude e, nonappena questo riprenderà, sarà senza dubbio la strada da seguire. Se dovessi fare una previsione, domani vedo ECDL come risorsa professionale per tutti gli ambiti in cui l’uso del Digitale è strumentale alla professione (il più classico degli esempi: la figura dell’impiegato amministrativo), e un altro tipo di corsi per una sorta di “educazione civica digitale” (si, #Biellainclude, penso a te ;) ). Per la verità anche in seno a ECDL, in particolare a livello europeo, sembra che alcune cose si stiano muovendo in quella direzione. Ma sto divagando.

ECDL, Windows XP, Open Source e così via

Uno dei problemi principali di ECDL è sempre stato quello di doversi confrontare con un mondo in cui il 90% del mercato è rappresentato da prodotti unici per marca. Il sistema operativo più diffuso è un prodotto commerciale, il pacchetto per l’ufficio più diffuso anche, e così via. Per questo, uno dei fronti aperti più complicati è proprio il fatto di conciliare questo con l’universalità dell’insegnamento. E, per ora, l’idea sembra essere sempre stata quella di favorire la produttività e la possibilità di inserimento nel mercato degli allievi, favorendo le piattaforme più diffuse. Per esempio, la versione Open Source della certificazione ECDL esiste, ma trovare una sede in cui conseguirla è decisamente più impervio. Questo genera buona parte delle idiosincrasie. Perché, se ragioniamo sui dati di diffusione, le cose si fanno ancora più complicate.

Se Windows XP, globalmente esiste ancora sul 9% delle piattaforme, infatti, chiunque frequenti qualche azienda, sa che spesso, nel tessuto produttivo italiano, le cose possono essere diverse (giusto per fare un esempio, proprio ieri mi sono state chieste informazioni su un computer equipaggiato con windows 98). Quindi, il problema “commerciale”, sembra essere senza soluzione: Innovare e preparare gli allievi al futuro o condannarli a imparare anche un sistema operativo “maggiorenne”?

ECDL, Windows e il futuro: una possibile soluzione

Come ribadisco da tempi non sospetti, una possibile soluzione c’è, ed è il proverbiale uovo di colombo, che nasce da una semplice osservazione:

perché a scuola guida non ci sono gli stessi problemi?

Molto semplice: perché in quel campo sono previsti degli standard! Non importa la marca o il modello di auto, ma per circolare in Europa deve avere alcune caratteristiche di base: comandi, impianto ottico, tipo di motore e così via.

Semplificando in modo estremo (le cose sarebbero molto più complesse), basta applicare lo stesso principio: una possibile strada sarebbe quella di identificare alcune funzionalità indispensabili e creare uno standard che ne fissi i criteri. Per assurdo che possa sembrare pensiamo a questo: dover disporre di frecce e fanali non ha mai limitato la creatività dei designer di auto.

Inoltre, spesso, nel mondo digitale gli standard “di fatto” già esistono. Qualche esempio? Grassetto e corsivo negli editor di testo, l’uso del tasto destro, il copia / incolla.

Semplificando estremamente il discorso, basta codificarli meglio e renderli universali. Con i formati di file le cose sono andate “quasi” bene, riuscire a farlo per le applicazioni potrebbe essere un buon segnale di maturità.

E ci libererebbe per sempre dai problemi di obsolescenza per le certificazioni ECDL, i test center e le piattaforme di insegnamento.

ECDL: come funziona la certificazione

ECDL: come funziona la certificazione

ECDL è la certificazione che attesta la capacità di utilizzare i mezzi informatici a 5 diversi livelli. Questi ultimi vanno da ECDL Base a ECDL Profile, che costituisce l’apice della preparazione offerta dalla Patente Europea.

Nata nel 1997, l’ECDL, o Patente Europea per il computer, è riconosciuta in 148 Paesi e si inserisce in un più ampio programma di alfabetizzazione informatica che a livello mondiale viene messo in atto grazie alla coordinazione tra oltre 24.000 luoghi di formazione accreditati.

Questo significa che l’ECDL è una certificazione ampiamente spendibile a livello professionale, in Italia ma soprattutto all’estero. Un aspetto molto importante ma che viene spesso sottovalutato infatti, è che si tratta dell’unico tipo di certificazione riconosciuto adatto a chi deve utilizzare il computer senza essere un tecnico. Per chiarirsi, immaginiamo per esempio la tradizionale figura dell’addetto di segreteria o dell’impiegato amministrativo, che usano il computer quotidianamente, ma senza dover effettuare, per esempio, configurazioni o riparazioni.

Chi dovrebbe prendere l’ECDL? Praticamente tutti. L’idea che soltanto coloro che lavorano a stretto contatto con un computer abbiano il dovere di saperlo utilizzare è ormai obsoleta, con buona pace di chi ancora è convinto che i computer “non servano” o siano utili solo in ambiti specifici. Ormai ogni ufficio ne è dotato, ma non solo: il computer è entrato, per esempio, anche nelle officine meccaniche, ormai da anni.

In particolare, beneficiano di vantaggi nelle proprie graduatorie di competenza studenti, docenti e ricercatori universitari, personale ATA, dipendenti della Pubblica Amministrazione e dipendenti aziendali.

ECDL: come funziona l’iscrizione? Quanto costano i corsi?

La Patente Europea per l’Uso del Computer in Italia viene completamente gestita dall’AICA (associazione italiana per l’informatica e il calcolo automatico), che opera a livello capillare sull’intero territorio italiano appoggiandosi a un grosso numero di istituti certificati come Test Center.

I Test Center certificati AICA sono stati geolocalizzati in maniera che si possa facilmente individuare il più pratico da raggiungere.

Presso i Test Center si deve acquistare la Skill Card, dal costo di 90 Euro. In aggiunta, ogni modulo costa all’esaminando 30 Euro aggiuntivi che andranno pagati di volta in volta.. Queste tariffe salgono del 30% se il candidato non è uno studente ma un lavoratore. Prima di iscrivervi, però, il mio consiglio è quello di prendere informazioni presso i centri di formazione come Enaip Piemonte per esempio, con il quale collaboro da anni. L’Unione Europea infatti mette a disposizione numerosi fondi grazie ai quali è possibile fare corsi a costi bassissimi, e in molti casi questi includono anche le skill card necessarie per fare gli esami. Di solito la direttiva più interessante in questo senso è la formazione continua individuale, o FCI, che permette i lavoratori di seguire i corsi pagandone solo una quota minima, mentre il resto viene stanziato dall’Unione Europea.

Un consiglio: la Formazione Continua Individuale, o FCI, è disponibile per moltissime categorie di lavoratori e ci dà la possibilità di fare corsi interessanti a costi bassissimi, non solo nel campo informatico. Fate una ricerca per la vostra zona per vedere quello che mette a disposizione il territorio e avvantaggiatevi di questo diritto che conoscono in pochi. In alcuni casi i corsi possono essere anche gratuiti.

Dal momento che AICA si occupa solo degli esami e non svolge alcuna attività formativa, un candidato può seguire un qualsiasi corso di formazione che ritenga idoneo, oppure presentarsi all’esame da privatista, formandosi autonomamente su libri di testo consigliati.

Il costo e la durata dei corsi oscillano a seconda dell’ente che li istituisce e del numero di ore in cui si articolano. A livello puramente orientativo il costo di un corso ECDL oscilla tra i 500 e i 1500 Euro.

Il costo dei libri di testo e di qualsiasi altro tipo di materiale didattico si intende a carico del candidato, ma è possibile cavarsela con meno di un centinaio d’Euro anche per i livelli più alti di formazione.

ECDL: come funziona la formazione? La flessibilità dei moduli a scelta

La certificazione ECDL Base viene raggiunta superando i test relativi a 4 moduli, quella Standard aggiungendo a quelli di base 3 moduli a scelta dello studente. Anche la certificazione Full Standard richiede il superamento di 7 test, ma i 3 aggiuntivi vengono stabiliti da AICA.

Il livello ECDL Advanced si raggiunge aggiungendo alla certificazione Full Standard un modulo Advanced a scelta, l’ECDL Expert superando i test relativi a 3 moduli Advanced, sempre a discrezione dello studente.

Come per ogni esame che si rispetti il materiale didattico è diviso in libri di testo (a cui viene associato un CD – ROM di presentazione) e dispense di approfondimento.

Il sito ufficiale suggerisce diversi libri di testo ma online è possibile trovare anche svariati libri ECDL gratuiti in formato PDF: se vi servono, potete consultare il mio post di qualche tempo fa, che tengo aggiornato con frequenza (quasi!) periodica.

ECDL: come funziona l’esame?

Inutile specificare che gli esami della Patente Europea per il Computer si svolgono su PC in uno dei Test Center.

Si tratta di una serie di domande a risposta multipla. Per superare il primo modulo uno studente ha 35 minuti di tempo, mentre sono concessi 45 minuti per i test dei moduli successivi.

Naturalmente, a parte lo studio, la simulazione dei test ECDL è fondamentale, soprattutto per prendere confidenza con il meccanismo. Come ho già scritto in un altro post, su Matematicamente.it e su una serie di altri siti è possibile scaricare ebook relativi a ogni modulo ed esercitarsi nella loro compilazione rapida.

Google mette l’interruttore a Skynet

Una notizia di qualche giorno fa ci raccontava di come Google Deepmind e molti altri nomi celebri del mondo dell’intelligenza artificiale stessero lavorando a una sorta di bottone rosso per le forme di intelligenza artificiale. Lo scopo, secondo le fonti più celebri, sarebbe quello di impedire alle intelligenze artificiali di perseverare in una sequenza di operazioni pericolose.

Voglio cedere al fascino per un minuto e pensare che Google, attraverso la divisione Deepmind, stia pensando a una sequenza di interruzione, se vogliamo un bottone rosso per spegnere tutto, o una safeword per quando le cose si fanno troppo estreme. E naturalmente tornano in mente Skynet che si procura da sola l’energia elettica, bombarda le superpotenze e conquista la Kamchatka, o le macchine di The Matrix e alla loro mania di giocare a farmville con gli esseri umani al posto dei pomodori.

the-terminator

Ci siamo capiti – via IndieWire

 

Niente bottone rosso, scienza a palate

Immaginare un tastone rosso sulla scrivania del supervisore di turno o del presidente degli Stati Uniti però è una semplificazione. Estrema. Immaginate di dover spiegare a un bambino di quattro anni come risolvere una equazione redox. Più o meno è il compito che è toccato ai divulgatori e giornalisti. Perché il documento originale è roba seria. E per roba seria, intendo di quella che ti fa tornare gli incubi degli esami di analisi, e subito dopo rimpiangere di non averla capita quando era ora.

Interruptibility.pdf

E non è nemmeno la più tosta – via Safely Interruptible Agents

Per fortuna, dopo 10 pagine in bilico fra piacere, dolore e schiaffi a mani aperte all’analfabetismo funzionale,  ci sono delle conclusioni, probabilmente scritte in un momento di pietà per gli esseri umani che i limiti li hanno visti solo nel compito in classe di quarta superiore. Qui capiamo che lo scopo di questo documento è quello di permettere agli operatori di interrompere in modo sicuro un processo di apprendimento e assicurarsi che l’agente, cioè l’intelligenza artificiale in fase di sviluppo non impari a prevenire queste interruzioni. Inoltre il documento ci lascia con un tema affascinante.

“Una importante prospettiva futura è di considerare interruzioni pianificate, dove l’agente è interrotto ogni notte alle 2 del mattino per un’ora, o avvisato in anticipo che avverrà un’interruzione in un momento preciso”

Ora, ditemi che solo io ho pensato a questo:

View post on imgur.com

Intelligenza artificiale – chi condiziona chi?

Se volessimo fare una lista di tutte le opere Sci-Fi (e non solo) in cui il dilemma etico sulla creazione e la “educazione” delle intelligenze artificiali è un tema portante, o addirittura fondamentale, potremmo stare qui intere settimane a discuterne. L’intelligenza artificiale ha preso, nell’immaginario collettivo, il posto del robot del secolo scorso. Quello che rimane invariato, ed è un tema ricorrente, è una forma di timore ancestrale, di rivalità nei confronti della “macchina” che ha ineluttabilmente una connotazione negativa, è sempre antagonista, nemica o quantomeno ambigua e pericolosa.

Pinocchenstein

Questa ve la spiego, giuro ;)

C’è chi fa risalire questo timore al primo grande shock tecnoculturale, la rivoluzione industriale. Io non sono completamente d’accordo. Ne abbiamo parlato a lungo quando con i fratelli Mercenari a Vapore  si tenevano conferenze sullo Steampunk. Da Prometeo a Icaro, passando per la stessa Torre di Babele, la mitologia e la tradizione non perdono occasione per sottolineare il rapporto controverso con il progresso, con l’Artefatto. Perché, in fondo, il processo di creazione che l’uomo può mettere in atto con le proprie mani è incompleto, inanimato. E qui potrei mettere in cantiere una lunghissima dissertazione che parte dalla differenza fra la Creazione che dona la vita e la creazione incompleta figlia dell’intelletto, passando per l’alchimia per approdare ai due fratelli più improbabili della letteratura, il mostro di Frankenstein e Pinocchio, ma andrei troppo lontano dal punto. Se vogliamo ridurla ai minimi termini, il nostro cervello non si è ancora fatto una ragione di non essere in grado, dopo millenni di studi, di fare quello che ai nostri lombi costa dieci minuti di fatica. E sappiamo che l’invidia della ragione genera mostri molto più pericolosi di quelli del sonno.

Chi ha paura dell’Intelligenza Artificiale?

Tutta questa enorme tirata, apparentemente senza capo né coda, per rispondere a due domande fondamentali, che in un certo modo sono due facce della stessa medaglia: Abbiamo davvero bisogno di un interruttore di emergenza? e soprattutto, Dobbiamo avere paura dell’intelligenza artificiale?

Sì e sì

Ma per ragioni diverse da quelle più dirette.

Perché, se ci piace tanto pensare che un giorno le macchine si ribelleranno, è soprattutto colpa della coscienza collettiva. Per ora, al massimo, un’intelligenza artificiale ci ha preso a male parole. Tay, L’esperimento di Microsoft chiuso in fretta e furia a marzo, in ventiquattro ore è sfuggita al controllo ed è diventata un’entità perversa, razzista e genocida. Per fortuna era solo un bot collegato a Twitter. Ma del resto, è stata abbandonata alla mercé di Internet “per imparare a interagire con gli umani in modo più umano”. Su un Social come Twitter. Più o meno come essere buttati da un elicottero fra ultrà e polizia fuori dallo stadio “per imparare la difesa personale”. Tanto che c’erano, potevano farle un account su Tumblr e iscriverla a 4chan, poveretta. E comunque, ci ha messo molto più di Ultron, che in due minuti di Internet aveva già deciso di sterminarci.

SVEEEEGLIAAA!!!1!!!1 STOCAZZO pareva brutto

VE LA DO IO LA “SVEGLIAAAAAA!!!1!!1!!!1111!”

Sto (nuovamente) divagando: il punto è che, mai come oggi, la realtà condiziona la finzione, e viceversa. Negli anni ’80 e ’90 avevamo le prime avvisaglie di un futuro in cui la tecnologia sarebbe passata da utilità a necessità, e poi a dipendenza. E le abbiamo riversate, come accade sempre, nelle opere di fantasia. Cito solo, ma l’elenco sarebbe eterno, Wargames: giochi di guerraTerminatorRobocopThe Matrix perché sono i primi che vengono in mente a tutti, ma allargando appena un po’ l’orizzonte nel tempo e nelle tematiche, includere tutto quello che va da HAL 9000 a Christine – La macchina infernale è fin troppo semplice.

Oggi, quel timore ancestrale che abbiamo riversato nell’immaginario, torna a galla, molto più forte di quello che possono averci lasciato Corto circuito o Weird Science, che comunque avevano i loro risvolti dark. E chi ha visto quei film e ha letto quei libri da ragazzo o bambino, oggi progetta software, hardware, interfacce. E come accade, per esempio, nel design delle auto, alcune delle quali somigliano sempre più a quelle di videogiochi e fumetti, anche in questo caso, la tautologia si chiude: l’immaginario, generato dalla realtà, origina opere di fantasia, che ineluttabilmente condizionano la realtà. Come se, nel corso delle generazioni, gli archetipi tornassero a loro stessi dopo essere stati distillati dalla coscienza collettiva dell’umanità.

Quindi, sì, dobbiamo temere l’intelligenza artificiale, o meglio, dobbiamo temere il pessimo uso che l’umanità in generale sa fare degli ottimi strumenti che costruisce. Ma questo è un aspetto marginale, e tutto sommato di facile risoluzione.
Il punto vero è: sì, abbiamo bisogno di un “pulsante di emergenza”. Per sentirci rassicurati e allontanarci dallo spettro di paure che appartengono al passato. In fondo, temiamo ancora il rancore degli dei contro Prometeo.

Johnny Mnemonic

Cyberpunk news: gli implanti neurali sono più vicini

Quando ho aperto questo blog mi sono proposto di parlare soprattutto di questioni professionali, ma questa notizia è troppo ghiotta: gli implanti neurali* sono un passo più vicini.

Una di quelle poche notizie all’anno che, pur avendo a che fare in modo solo tangente con la mia professione, mi sanno affascinare. Peccato averla appresa da Business Insider che fa un po’ di confusione in campo fantascientifico (o fa furbescamente finta in nome del SEO, così riesco anche a infilarci un minimo di professionalità) e cita Matrix quando l’esempio migliore sarebbe Johnny Mnemonic, ma per fortuna i giornalisti anglofoni hanno l’abitudine (da noi ormai smarrita) di citare le fonti.

Così mi trovo a leggere un articolo sul sito della DARPA, agenzia militare americana, il che aiuta molto il gusto cyberpunk, in cui si si parla di stimolazione elettrica mirata come sostegno per la memoria. In pratica, ma vi consiglio di leggere l’articolo originale per i dettagli tecnici, inserendo una matrice di elettrodi in zone specifiche del cervello i ricercatori sono riusciti a stimolare gruppi di neuroni e a migliorare le prestazioni mnemoniche in “alcune dozzine di volontari”. Per il momento l’esperimento riguarda solo la memoria dichiarativa, che stando all’articolo è quella più semplice da gestire e decodificare. L’obiettivo primario è quello di aiutare chi ha deficit mnemonici, ma in futuro la ricerca cercherà sia di ricostruire i processi alla base della memorizzazione, fino ad arrivare a migliorare la resa dei ricordi o addirittura ad aiutare l’apprendimento di abilità:

In related work, DARPA is about to launch a new effort to develop neurotechologies that may help individuals not just better remember individual items but learn physical skills.

Matrix

Conosco il Kung Fu!?

Insomma, un futuro in cui i chip di abilità diventano direttamente un sistema di upload delle abilità come in Matrix ? (alla fine in qualche modo aveva ragione Business insider) Siamo ancora nella fantascienza. Intanto però al mondo c’è qualcuno la cui memoria è aiutata da un implanto neurale rudimentale.

The future has imploded into the present

 

 

*prima che ve lo chiediate, la terminologia corretta è “impianti neurali”. La dicitura che ho adottato in questo intervento, “implanti neurali” è un retaggio della cultura (e dei giochi di ruolo) cyberpunk degli anni ’90. Mi piaceva conservarla così proprio per distinguerla dalle questioni mediche in senso stretto.

Di nuovo in Pista – BiellaInclude

Dopo un periodo di assenza più o meno forzata, torno ad aggiornare questo blog parlando di uno dei progetti che mi ha tenuto impegnato in questi ultimi tempi: #BiellaInclude, il progetto di inclusione digitale dell’Agenda Digitale Biellese.

Prima di tutto, faccio una doverosa precisazione: prima di partecipare al mio primo incontro ero piuttosto dubbioso sulle attività dell’Agenda Digitale ma, come ho detto in altre sedi, sono felice di essermi sbagliato. L’entusiasmo e la competenza con cui molti dei progetti sono portati avanti mi ha permesso di ricredermi e, per mia fortuna, di aderire.

Cosa ho fatto?

Semplicemente, mi sono occupato di coordinare il progetto di inclusione digitale, quello che nella preistoria avremmo chiamato alfabetizzazione informatica. Per fortuna, però, la strada scelta è stata molto diversa, e di questo sono piuttosto felice. Anche perché il progetto che abbiamo portato avanti è un po’ una mia creatura, visto che gli altri membri di questa linea d’azione hanno acconsentito (per convinzione o sfinimento ;) ) ad accettare buona parte della mia visione.

Dal punto di vista tecnico e istituzionale non c’è molto da aggiungere ai documenti inclusi in questo articolo. In questa sede, come sempre, ne approfitto per chiarire un po’ meglio la mia visione. Procedendo per punti più o meno schematici e, mi auguro, chiari.

Informatica? No grazie

La primissima osservazione, nella quale insisto anche nella presentazione del progetto (che se WordPress collabora dovrebbe essere in corso mentre questo post raggiunge la rete), è molto semplice:

L’informatica è un concetto superato

Almeno per quanto riguarda l’insegnamento. Oggi ci sono ancora corsi  considerati “di informatica” semplicemente perché si fa largo uso di tecnologie e soluzioni digitali. Alcuni esempi? Corsi di Webdesign, corsi per l’utilizzo di Internet, ma anche quelli di Social Media Marketing o di comunicazione digitale. Questo avviene in particolare nelle sedi istituzionali, purtroppo. Quello che mi auguro è che questo progetto possa contribuire a modificare questo modo di vedere le cose. Penso infatti che sia chiaro per chiunque frequenta il Digitale che imparare a usare un tablet, a creare un blog o a fare acquisti online ha a che fare con l’informatica in senso accademico quanto andare a scuola guida a ha che fare con l’ingegneria meccanica.

Non tutti vogliono (e devono) imparare le stesse cose

Rimanendo sul paragone automobilisitico, così come c’è differenza fra essere pilota, autista, elettrauto, carrozziere, meccanico, progettista o designer, esistono differenze che l’ambiente dell’insegnamento deve recepire fra i diversi rami del Digitale. L’informatica in senso stretto è quella di programmatori, analisti e ingegneri del software, per esempio, mentre le professioni digitali si spingono molto più in la. Uniformare il tutto suggerisce l’idea sbagliata che un bravo grafico Web o un eccellente progettista CAD debbano essere anche informatici, mentre devono essere prima di tutto, rispettivamente, esperto di grafica e meccanico o architetto. Far ricadere queste professioni sotto l’egida dell’informatica sarebbe come dire che, negli anni ’80, un buon grafico doveva essere un ottimo chimico per conoscere le mescole dei colori che utilizzava.

Insomma, oggi nella maggioranza dei casi il Digitale è uno strumento. Insostituibile, eccezionale, vantaggioso. Ma non è il fine. Un buon meccanico sa usare perfettamente i suoi strumenti, ma non significa necessariamente che li sappia progettare, gestire, mantenere. Credo che sia giunto il momento di estendere il ragionamento al Digitale, e in #BiellaInclude ho avuto, per mia fortuna, l’opportunità di rendere reale questa idea.

Mi spingo un po’ più in la: anche all’interno di temi apparentemente analoghi, ci sono grandi differenze. Un rappresentante di commercio, per esempio, usa molto l’automobile e la patente gli è indispensabile. Tuttavia, non è lo stesso tipo di patente richiesta, per dire, a un conducente di veicoli conto terzi. Arriviamo al terzo punto.

Diversi modi di imparare

Oggi, chi vuole avvicinarsi al mondo digitale, non ha molte scelte se non i corsi ECDL o quelli di alfabetizzazione informatica, che spesso comunque sono declinati con temi analoghi ai primi. In questi corsi si apprendono le basi dell’uso del computer, l’utilizzo dei vari pacchetti per l’ufficio, di Internet e , nelle nuove versioni, sicurezza e strumenti di collaborazione online.

Tuttavia, c’è un limite: l’eredità culturale di questi corsi, infatti, è quella del mondo professionale: si impara la stampa unione e a creare lettere aziendali e circolari, fondamentalmente. Il che è perfetto per chi deve includere competenze digitali nella sua professione.

Ma non è quello che serve alle persone. Almeno, non a quelle che vogliono avvicinarsi al Digitale per interesse o curiosità personale, o che lo vogliono utilizzare nella loro professione al di fuori dei limiti del lavoro d’ufficio.

Oggi c’è un mondo intero che si muove sui Social Media, per esempio, e non stiamo nemmeno prendendo in considerazione il mondo Mobile in senso stretto: App, pagamenti elettronici, dispositivi. Oggi il mondo della formazione ha recepito Skype e le Web App per l’ufficio, il che è ottimo, ma le persone nel frattempo hanno iniziato a usare WhatsApp e Periscope. Da un certo punto di vista è giusto così: corsi che garantiscono professionalità non possono essere completamente proni alle mode e agli usi del momento.

Ma le persone ne hanno bisogno. Ecco perché ho proposto la nascita della

Palestra Digitale

L’idea alla base è semplice, e si rifà proprio alle palestre: creare spazi di apprendimento personalizzato e differito, che si possa adattare alle esigenze di ciascuno, ma che nello stesso tempo sia adattabile e facilmente replicabile.

Il luogo dove si apprende il Digitale insomma, deve somigliare, almeno per chi vi si avvicina per interesse personale, sempre meno a un’aula e sempre più a un punto di aggregazione, in cui esercitarsi, provare e scegliere di volta in volta se sperimentare cose nuove, migliorare quello che si conosce o semplicemente scambiare conoscenze ed esperienze con altri curiosi.

Abbiamo messo insieme un sistema che, anche nella struttura, ricorda proprio le palestre: insegnanti e tutor sono presenti, ma non fanno lezione in senso stretto, se non per un modestissimo numero di ore all’inizio. Per il resto saranno a disposizione per dare consigli, suggerire il lavoro da fare, correggere e aiutare. Esattamente come nelle palestre.

La Palestra Digitale è un’idea che, nel suo piccolo, rivoluziona non solo il modo di insegnare il Digitale, ma il concetto stesso di Digitale, allontanandolo dalla vecchia identità “Digitale = Informatica” che ne blocca la diffusione, allontanandolo dalle persone.

Mi auguro, con questa idea, ma soprattutto con i presupposti che l’hanno generata, di contribuire insieme con gli altri membri del gruppo di azione #BiellaInclude, a un cambio radicale.

In fondo, le cose vanno fatte per fare la differenza, no?

Il progetto DigitalClub

La presentazione

Oggi, 30 giugno 2015, presenteremo il progetto presso Villa Ranzoni, nel Comune di Cossato. Ecco le mie slide:

La Stampa e Google

Google, La Stampa e l’importanza dei contenuti

Google sta siglando una partnership con otto provider di contenuti europei. Ne parliamo diffusamente su MCCPost, ma come sempre qui mi ritaglio lo spazio per qualche riflessione più personale.

Prima di tutto, un po’ di sano campanilismo: che l’editore online scelto per l’Italia sia La Stampa di Torino, è senza dubbio una fonte di gioia per un piemontese, e una lezione per tutti: si può fare innovazione, ed eccellere, anche nel nostro “antiquato” Piemonte. Che poi, a ben guardare, fra scoperte vecchie e nuove, proprio tanto antiquato non è (pensiamo a Olivetti, per esempio, o all’aver portato in Italia la rivoluzione industriale, giusto ricollegarmi anche al mio amore per lo Steampunk).

Poi, una seconda considerazione: Google ha Google News, il più potente aggregatore di notizie che la storia ricordi, eppure decide di collaborare con i fornitori di contenuti. Naturalmente ci sono molte motivazioni, di natura diversa, dietro a questa scelta, fra cui quella di risanare una frattura storica fra editori, fornitori di contenuti e Google, accusato di “rubare” utenti proprio a causa di News (anche se chiunque abbia anche solo una vaga idea di come funzioni Internet sa quanto questa speculazione sia infondata). Tuttavia Google, probabilmente anche per calmare le acque, ha messo in pieno un piano che prevede proprio la collaborazione con alcuni dei suoi “potenziali nemici”, probabilmente quelli più propensi alla tecnologia, che probabilmente hanno accettato di buon grado.

Infine, l’ultima osservazione, che si lega maggiormente alla creazione di contenuti, quindi al content marketing, che vorrebbe essere una delle colonne personali di questo blog. Per la verità due, ma una è poco più di un inciso.

Da un lato abbiamo editori tradizionali che, davanti a un prodotto innovativo come Google News, si stracciano le vesti e fanno i capricci, gridando al furto, con schiere di flagellanti al seguito, spesso professionisti dell’informazione rimasti fermi, professionalmente, al 1980. Dall’altro abbiamo editori tradizionali, come La Stampa (che per inciso, è in giro dal 18-maledetto-97, quindi non è propriamente una startup) che colgono le opportunità, innovano e da giornale cittadino diventano parter europei di Google. Mettendo le mani su una fetta dei 150 milioni di euro nel processo. Indovinate a quale delle due fazioni sarà ancora in giro nel 2097…

Infine, l’ultima delle mie opinioni su questa storia: i contenuti di qualità vincono sempre. Certo, il caso dei quotidiani non riguarda propriamente il content marketing, ma il concetto è invariato. Google News sarebbe nulla senza partner che producono contenuti editoriali di qualità, e questi partner a loro volta sarebbero nulla senza contenuti.

Spesso, durante le mie lezioni di web marketing e content marketing porto come esempio provocatorio quello che amo chiamare il caso 4chan (magari ne parlerò diffusamente, prima o poi), per spiegare come il content marketing, in questo caso esasperato nella declinazione di user generated content nel campo dei meme e del trash, possa essere sufficiente da solo per trainare il successo di un sito. Oggi la storia è un po’ diversa da quando è nato il celebre sito, ma un concetto rimane invariato: avere contenuti di qualità significa conquistare raggiungibilità anche nel tempo, credibilità, offrire un servizio importante. Se vogliamo estremizzare, avere contenuti di vera qualità significa poter fare a meno dei trucchetti del SEO, dei vezzi della grafica esasperata e in un impeto di tautologia, direi anche del content marketing stesso.

Google crede nei contenuti. Se dobbiamo credere a Google Trends, anche il resto del mondo inizia a crederci.

Pensateci la prossima volta che dovete pianificare una strategia.

Logo di Bing

Bing cambia la partita del content marketing

Mentre tutto il mondo (me compreso) si preoccupava dei nuovi algoritmi di Google, negli USA altre notizie cambiano il mondo del content marketing. Secondo i dati divulgati settimana scorsa da ComScore e riportati da BGR via Search Engine Land infatti, Bing, il motore di ricerca di Microsoft, ha raggiunto la ragguardevole quota di mercato del 20%. In altre parole, un quinto delle ricerche negli Stati Uniti è fatta con il motore di ricerca Made in Microsoft, che di sicuro ha tratto giovamento dalla recente partnership con Yahoo!.

Volendo fare un po’ di sano onanismo statistico, secondo i dati riportati Google ha circa il 64% del mercato, Bing il 20 e Yahoo!, che usa gli strumenti di Bing, quasi il 13%. Questo significa che Bing controlla circa la metà delle ricerche rispetto a Google, e quasi un terzo del totale. Questo almeno stando ai dati di ComScore. Secondo altre fonti, per esempio un articolo di Forbes di gennaio, la cosa non è così significativa, perché è dovuta anche in parte al cambio di motore di ricerca predefinito nel browser Firefox in seguito a nuovi accordi. C’è da dire che l’articolo non è così recente, e anche dopo questa data i numeri di Bing hanno continuato a crescere. L’altro dato che i “conservatori” contestano è che si riferisce solo alle ricerche desktop, mentre sappiamo che questi numeri cambiano se includiamo il mercato mobile.

Il punto è: come queste notizie, o opinioni, possono influenzare il content marketing?

La risposta è semplice: negare che oggi nella creazione di contenuti di qualità rientrino anche i parametri del SEO significherebbe nascondere la testa sotto la sabbia. Passiamo nel campo delle opinioni: la mia convinzione, semplificando fino ai minimi termini, è che le discipline SEO siano poco più di un trick. In fondo si tratta di un reverse engeneering, basato su dati anche piuttosto aleatori, il cui scopo ultimo è interagire meglio con un meccanismo il cui funzionamento è ignoto. Il che significa più o meno cercare di capire come funziona un computer percuotendolo con un femore.

Gli zeloti del SEO lavorano sul nuovo algoritmo di Google

Si, lo so. La realtà è più complessa e qualche base analitica c’è. Ma il mondo delle scienze esatte, come la meccanica o la fisica tradizionale, è un’altra cosa. Allora il punto è questo: se cambia il mercato, anche le regole del SEO, e quindi in parte quelle del content marketing, devono cambiare. Perché già ottimizzare i soli testi per un singolo motore di ricerca è impervio, e ottimizzare tutti i contenuti per più motori è molto, molto più complesso. Certo, i dati sono riferiti solo agli Stati Uniti, solo alle ricerche desktop, e così via. Ma la storia ci insegna che sottovalutare questi segnali non è mai una buona scelta. E, fatte le dovute proporzioni, già oggi ignorare il peso di Bing nella progettazione e gestione dei contenuti significa giocarsi una discreta fetta di mercato.

La soluzione? Prima di tutto, la mia opinione: basare tutto sul solo SEO è, con buona pace degli zeloti di cui sopra, una scelta miope. La transizione verso un content marketing più strutturato è già iniziata. Oggi essere bravi a combinare le parole nell’ordine che piace a Google non basta più.

Bisogna pensare anche a Bing e Yahoo!.

Allora, perché non semplificare le cose e tornare a pensare agli esseri umani? La creazione di contenuti di qualità attraverso un content marketing intelligente è una delle possibili risposte.

E, peraltro, funziona perfettamente da sempre.

 

 

ilkappa.com è mobile friendly. Più o meno ;)

Google cambia tutto favorisce il mobile friendly

Come mi segnala il buon Pas attraverso la pagina Facebook di Studio Casaliggi, Google sta cambiando il suo algoritmo per favorire il mobile friendly. Non sarebbe una novità, se non fosse per la “rivoluzione mobile” che avverrà.

In pratica, da oggi Google inizierà a penalizzare tutti i siti che non rispondono ad alcuni criteri per essere mobile friendly, cioè leggibili anche sugli smartphone e, in generale, sugli schermi di piccole dimensioni. Questo cambiamento coinvolgerà le ricerche effettuate da mobile, che sempre secondo Google oggi sono il 60% e sono destinate a diventare più del 70% entro il 2020.

Se vi state chiedendo cosa centra tutto questo con il content marketing e la gestione dei contenuti, la risposta è piuttosto semplice: noi gestori di contenuti possiamo anche fare un buon lavoro, impegnarci per ottimizzare parole chiave e contenuti in genere, ma se la tecnologia del sito è obsoleta e non ci supporta, buona parte dei nostri sforzi è destinata a essere vana. Per cui, se non lo avete ancora fatto, è il momento di stare sotto ai webmaster per ottenere gli aggiornamenti mobile friendly.

A dirla tutta, i tecnici dovrebbero già esserne al corrente, visto che la notizia circola già da un paio di mesi… ma se i webmaster con cui lavorate di solito sono poco reattivi, ora non ci sono più scuse: gli scenari più pessimistici parlano di crolli verticali nella raggiungibilità attraverso le ricerche naturali, anche se è più credibile che il passaggio sarà piuttosto morbido.

Possiamo fare una verifica rapida usando lo strumento che Google mette a disposizione. (per la cronaca, questo sito è già mobile friendly… e non lo sapevo nemmeno, o quasi ;) )